Essere a Casa.

Essere a Casa

Gruppo di persone senza casa
Gruppo di persone senza più una casa

Già da diverso tempo i giornali di cronaca locale ci informano degli sgomberi che si stanno effettuando presso le palazzine di via Fani. Questi fatti mi hanno portato a fare delle riflessioni sul significato psicologico che ha la casa. Dietro le espressioni consuete “sono a casa”, “torno a casa” si cela un profondo significato psicologico di sicurezza e di benessere.
Il significato di sicurezza lo si trova sin dai tempi delle caverne, quando i nostri antenati si riparavano cercando protezione e punti di riferimento nei luoghi per loro più facilmente accessibili.
Oggi la casa è il luogo che meglio rispecchia la personalità di chi la abita, dalle sue parti più intime e segrete a quelle condivise con gli altri.
Osservando con attenzione la disposizione dei mobili, i quadri alle pareti, il numero e il tipo degli oggetti, i colori prescelti, l’ordine o il disordine, le parti maggiormente accudite, si può capire molto della personalità del proprietario.
Interessante è l’interpretazione psicodinamica di Carl Gustav Jung che, in un suo sogno del 1909, la interpreta come un simbolo dell’Io strutturato attraverso molti livelli di coscienza:

Mi era chiaro che la casa rappresentava una specie di immagine della psiche, cioè della condizione in cui era allora la mia coscienza, con in più le relazioni inconsce fino allora acquisite. La coscienza era rappresentata dal salotto col pianterreno cominciava l’inconscio vero e proprio. Quanto più scendevo in basso, tanto più diventava estraneo e oscuro”.

Se pensiamo alla casa d’infanzia e alle trasformazioni che avvengono nei decenni comprendiamo come essa assuma sembianze di “pelle”:  dai morbidi peluche dell’infanzia, ai poster degli eroi sportivi o degli attori amati durante l’adolescenza, a coppe, alle fotografie sul muro, agli attestati o riconoscimenti, al lasciare la casa genitoriale per costruire un nuovo spazio personale.
Cambiare casa per cause che non dipendono da scelte personali è, senza dubbio, un fatto traumatico. Rappresenta un periodo di passaggio molto delicato e lasciare un luogo così fortemente simbolico necessita di una rielaborazione mentale in tal senso, soprattutto nel caso in cui si ci potrebbe nuovamente spostare.
Concludo questa mia breve riflessione citando un brano scritto da Anna Fabbrini nel suo libro Qui e Là:

per noi bambini, abituati agli spazi prevedibili dell’appartamento, quella casa era un’avventura. Salivi una scala buia e ripida aggrappato al corrimano di legno scavato dall’uso e sbarcavi nel lungo corridoio che portava alle stanze … La grande cucina col camino la incontravi a sinistra. Lì succedeva di tutto: il mangiare, il rigovernare, il conversare, il tirare il collo ai polli e poi spennarli per il pranzo della domenica …
L’acqua veniva portata su col secchio dal pozzo che stava sotto il portico. Bere e lavarsi le mani era un rito, col catino di terracotta, il mestolo alla bocca e lo stare attenti a non sprecare l’acqua, per rispetto di quella fatica di salire le scale col peso”.

Francesca Marrone

Francesca Marrone

Dott.ssa Francesca Marrone, Psicologo. Psicoterapeuta cognitivo costruttivista in formazione, psicologo del lavoro. Sito web: www.francescamarrone.it E-mail: francesca-marrone@libero.it

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