di GianPaolo Ferraioli
Quando accadono fatti sanguinosi come quelli dello scorso venerdì 26 giugno (attentati in Tunisia; Lione ecc.), i giornali e le televisioni riscoprono la giustezza e la lungimiranza della politica seguita dopo gli attentati dell’11 settembre 2001 da Bush jr, sebbene, ipocritamente, non vogliono ammetterlo esplicitamente.
Prova ne è il “Corriere della Sera” del 28 giugno. Vi si legge una intervista data da Luciano Violante, in cui questi dice: “Occorre soprattutto un nuovo esame della situazione che parta dalla idea che ci hanno dichiarato una guerra”.
Poi, Pierluigi Battista scrive. “E’ l’ostinata volontà di non riconoscere la guerra per quello che è: una guerra, appunto…Non vogliamo leggerlo, questo messaggio. Facciamo finta di non capire cosa ci vogliono dire gli assassini con i vessilli neri …”.
E, infine, Angelo Panebianco aggiunge: “Gli americani devono capire che è nel loro interesse essere coinvolti nella protezione del Vecchio Continente: un piano lungimirante per contrastare e prevenire le ondate di violenza che partono dal Medio Oriente”.
Certo, poi si aggiunge che Bush jr. aveva sbagliato a fare le guerre in Irak e Afghanistan, perché non c’era una strategia dietro che le sosteneva. Ed è qui che si incorre nell’errore, ovvero si dimostra di aver capito poco e niente della Dottrina Bush nella sua interezza. La strategia infatti c’era, eccome: fare la guerra e poi sostenere, per tutto il tempo necessario, mostrando nervi saldi per uno scopo epocale, coltivare i primi germogli di democrazia in quei Paesi, affinché, come un virus, si propagassero nell’intero Medio Oriente, nella convinzione, giusta, che la democrazia avrebbe isolato e sconfitto il fondamentalismo islamico terrorista.
E, in quanto a democrazia e stabilizzazione, entro il 2007 qualche frutto positivo si era visto. Poi, è arrivato Obama, che, con la sua sconsiderata politica del ritiro e dell’appeasement a tutto campo, ha gettato a mare tutti i primi frutti della strategia bushiana.