Connubio tra malavita e imprenditoria in provincia di Agrigento: l’accurata analisi dei Carabinieri

Cattura Messina GerlandinoIn data 23 ottobre 2010, dopo la cattura del noto latitante Gerlandino Messina inserito nell’elenco dei primi trenta ricercati più pericolosi d’Italia, un’accurata perquisizione all’interno del suo covo di viale Stati Uniti di Favara permetteva ai Carabinieri del Nucleo Investigativo del Comando Provinciale di Agrigento di rinvenire numerosi “pizzini” con i quali il latitante comunicava con suoi accoliti.

Tra il materiale sequestrato venivano rivenuti anche fogli di carta riportanti le contabilità di alcune aziende, segnalazioni per crediti non riscossi, segnalazioni del latitante per far assumere persone vicine alle famiglie mafiose dell’agrigentino, o situazioni particolari da risolvere (dissidi) o sfruttare (difficoltà economiche-mancanza lavoro). Dal contenuto della citata documentazione sequestrata nel covo emergeva, già dalla prima lettura il ruolo di Gerlandino MESSINA, quale capo indiscusso di cosa nostra nella provincia, che, in forza del ruolo rivestito, dispensava favori “per l’assunzione” e dettava ordini alle imprese che dovevano pagare il “pizzo”. La successiva complessa e lunga attività di indagine che ne è scaturita, attraverso numerosi riscontri effettuati sul contenuto dei pizzini, ha consentito di portare alla luce il ricambio generazionale del vertice della famiglia mafiosa di Cosa Nostra a Porto Empedocle imposto dall’azione dell’Autorità Giudiziaria e delle forze dell’ordine alla fine degli anni novanta, nonché di ricostruire in massima parte le dinamiche interne ad alcune delle famiglie più importanti ed attive di “Cosa Nostra”.

DSC01025La paziente attività di studio ed interpretazione dei “pizzini” rivenuti dai Carabinieri del Nucleo Investigativo del Comando Provinciale di Agrigento ha portato alla luce il connubio esistente tra criminalità organizzata ed imprenditoria, che nel corso degli anni si è sviluppato senza ostacoli anche grazie alla bassa percezione di legalità e scarso senso dello Stato che si registrano in ampi settori della società. I documenti sequestrati hanno rivelato come il fenomeno mafioso sviluppatosi all’interno di questo territorio presenta una sorprendente capacità di adattarsi ai mutamenti del contesto in cui si trova ad operare, essendo investito da un continuo processo di rinnovamento, e quindi capace di evolversi e svilupparsi (insediandosi sia tra le aree del degrado sociale, dove ha bisogno di produrre consenso e rigenerare proselitismo), reagendo così alle azioni di contrasto poste in essere dallo Stato nel corso degli anni e sfruttando economicamente diversi settori dell’imprenditoria locale.

L’esame della corposa documentazione acquisita nel corso dell’ attività ha permesso di accertare che MESSINA Gerlandino ha continuato ad esercitare, nel corso della sua latitanza, la sua influenza di capo mafia sul territorio empedoclino e successivamente dopo l’arresto di Giuseppe FALSONE, della provincia di Agrigento. Alla sorella del latitante MESSINA Anna, è stato contestato di aver scritto alcuni pizzini diretti allo stesso grazie alla comparazione calligrafica con manoscritti riconducibili alla donna acquisiti in altre occasioni. In particolare nei pizzini attribuiti alla Messina Anna, si segnalavano al latitante alcuni soggetti in corso di identificazione, indicati solo con un codice numerico, che erano in attesa di ricevere ordini. Gli elementi probatori raccolti sono stati ulteriormente confermati dalle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia Maurizio DI GATI, Luigi PUTRONE, Giuseppe SARDINO, Alfonso FALSONE e Calogero RIZZUTO, i quali hanno riferito sul ruolo di Gerlandino MESSINA all’interno dell’organizzazione mafiosa “cosa nostra”, evidenziando il ruolo di vertice raggiunto dallo stesso durante i suoi 11 anni di latitanza.

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