Dalla bottega della Terra Santa al “presepe” di Sambuca: la ricostruzione delle luminarie e il lavoro dei volontari “degli archini”

di Margherita Ingoglia

illuminazione2Come spesso capita, quando vige grande passione per qualcosa, il tempo diviene una componente eccedente. Si rinuncia senza accorgersene a ciò che improvvisamente appare superfluo. Si fa ogni cosa possibile, sperando anche nel miracolo, pur di veder realizzati i propri desideri. E quando questo fervore si trasforma in entusiasmo travolgente, allora tutto questo si può tranquillamente definire passione, passione vera.

“Agli archini” come è stato rinominato il cantiere dove molti volontari di Sambuca si ritrovano ogni sera per lavorare alle luminarie della Festa della Madonna, altro non sono che la stanza di un’ala della palestra della scuola media, attrezzata temporaneamente a “palestra di lavoro”.
“Agli archini” tanti volontari, a turno, si adoperano proprio per il ripristino dell’illuminazione alla veneziana e degli archini, appunto, che ogni anno coronano la gloriosa festa della Madonna celebrata, puntuale, la terza domenica di Maggio.
Cento. Cento volontari lavorano attivamente tutte le notti, dal lunedì al venerdì, per commemorare quella tanto attesa celebrazione che ricorda il miracolo che ha salvato l’antica Al-Zabuth, dalla pestilenza che si è diffusa in Sicilia nel 1575.
illuminazione“Agli archini” l’aria odora di vernice e truciolato, la luce e’ fioca e i rumori a tratti risultano striduli e assordanti.
Una stanza, grande, ingombrata da oggetti, fili, attrezzi, vernici, pennelli fa da cornice a questo scenario surreale, subissato da bagliori soffusi, da luci da presepe.
Nonostante il clima debole delle prime sere primaverili, la temperatura tiepida, “agli archini”, non si avverte. Forse per le battute, probabilmente per le risate, per i canti alla Madonna, o per le arrabbiature , che ogni tanto emergono, per ciò che non e’ andato per il verso desiderato: scadenze, conti che non tornano e materiale che tarda ad arrivare. Un alone grigio, sgonfiato subito da un “nenti ci fa, la Maddonna n’aiuta” (non fa nulla, la Madonna ci aiuta).

Un lavoro lungo e meticoloso che dura molti mesi, per dare prestigio ad una festa di appena quattro giorni. Un lavoro di ripristino fatto unicamente da volontari che, per il secondo anno ripetono l’impresa di ristrutturazione delle luminarie che addobberanno tutte le vertebre urbane, nei giorni della festività.
Cento volontari tra studenti, impiegati, macellai, fotografi, architetti, elettricisti, mastri ferrai, falegnami che si improvvisano dei “tuttofare”. Cittadini comuni che dopo la giornata di lavoro preferiscono continuare a impegnare il loro tempo a scartavetrare pali di legno, collegare cavi elettrici, dipingere archi e archini piuttosto che rimanere a casa con famiglia o amici a rilassarsi e guardare la televisione. Tutto questo, se si deve essere presici, senza alcun compenso remunerativo. Solo per passione e devozione alla Patrona del paese.

illuminazione1L’impresa era iniziata già lo scorso anno quando per iniziativa dell’architetto Giuseppe Cacioppo e la collaborazione della giornalista Paola Caridi, affezionata alla città araba, si è pensato di dare “nuova luce” alle luminarie sambucesi, sostituendo le vecchie lampadine con le originali bocce di vetro.
Cento. Cento bocce di vetro soffiato sarebbero giunte direttamente dalla bottega di Fares Natsche, il più importante vetraio di Hebron, dalla città della Cisgiordania. Cento era un numero solo iniziale, che però non sarebbe stato sufficiente a coprire l’intera illuminazione di tutti gli archini per l’addobbo dell’intero paese.
Nonostante la mancanza di fondi per pagare il lavoro dell’artigiano di Hebron, i volontari sono ricorsi a sorteggi, vendita di biglietti; a chiedere aiuto a sponsor e a benevoli mecenati al fine di azzardare un numero superiore di bicchieri di vetro (in gergo bocce) riuscendo infine ad ordinare un fatidico mille. Mille bocce dal vitreo tricolore: rosso bianco verde.
Ed altre 600 gocce di vetro giungeranno anche quest’anno dalla stessa bottega al di la del Mediterraneo, aggiungendo a queste, però, un nuovo progetto: cercare di ricreare, ex novo, il padiglione ligneo che coronava l’uscita della Madonna dalla Chiesa del Carmine dinanzi la piazza del paese, prendendo spunto da un’unica vecchia foto del 1935.
Il progetto del padiglione era stato ideato da Domenico Ferraro nel 1899 fulcro di una famiglia di stuccatori, i Messina, giunti a Sambuca nei primi anni del XVII secolo.
Il progetto delle luminarie era formato da grandi “archi” che attraversavano il corso, intercalati da “60 candelabri coronati da bicchieridi vetro, giunte dalla fabbrica di Murano.
illuminazione3Fonti storiche attestano che “nel 1931, Domenico Ferraro ormai ottantenne, ma mai stanco del progetto, ha disegnato l’Arco di Trionfo, una sorta di portale magniloquente. Si deve anche al Ferraro il disegno dei due palchi lignei – uno in stile Classico e l’altro in stile Egiziano – finanziati dai sambucesi d’America e realizzati dai fabbri lignarii, Francesco Milillo e Gaspare Montalbano, referente quest’ultimo a Sambuca del Ferraro. È lui che riceve i disegni dall’America, dove si era trasferito Domenico Ferraro, che realizza e cura la luminaria compreso il pagamento degli operai ingaggiati per il montaggio. Nel 1932, l’opera del Ferraro si completa del cosiddetto “padiglione”, una struttura a quattro lati posta a metà corso, che accoglieva il fercolo della Vergine dell’Udienza prima della processione. Nel 1953, infine, a 50 anni dall’incoronazione della statua, viene posta l’illuminazione sul prospetto della chiesa che ne disegna le linee architettoniche.”

Un lavoro certamente di grande fatica e grande prestigio quello affrontato dai volontari “degli archini” e un lungo pellegrinaggio che dalla Terra Santa, al presepe sambucese, anche quest’anno porterà luce a questa festività.

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