La crisi attuale sta indubbiamente facendo fare grossi passi indietro all’Italia, sul piano economico prima di tutto, ma anche sociale, politico, etico. A tutti i livelli è minata la fiducia tra popolo e istituzioni.
E’ peraltro convinzione di molti che i mali attuali dell’Italia derivino dalla sua entrata nell’Euro: da quando c’è la moneta comune – si dice – siamo tutti più poveri; prima, l’Italia poteva contare sul poco valore della sua Lira, sulle continue svalutazioni di quest’ultima, per esportare e fare letteralmente volare la sua industria.
Al fine però di confutare o avvalorare tali asserzioni cerchiamo di analizzare il problema con una visione più ampia. L’Euro fu creato al termine di un processo storico che vide sicuramente la Germania protagonista. Dopo aver assorbito con successo le sue regioni orientali, a seguito della caduta del Muro di Berlino, la nuova Grande Germania si presentò sul palcoscenico internazionale come un’incognita: avrebbe riprovato a “germanizzare” l’intera Europa, o si sarebbe essa “europeizzata”?
La scelta di creare la moneta unica fu evidentemente una prova di buona volontà da parte dei tedeschi. Questi ultimi indicarono a tutti i loro partners europei che la Germania, appunto, voleva collaborare al grande progetto della costruzione dell’Europa unita, sebbene tramite la politica dei piccoli passi, dato che non fu certo scelta l’edificazione degli Stati Uniti d’Europa (e tale obiettivo resta ancora oggi un miraggio).
Il mondo intero dette fiducia a questa scelta: se la moneta unica era del resto garantita dalla Germania – si ragionò –, voleva dire che essa aveva un grande futuro di solidità davanti a sé; l’Euro, in altre parole, fu visto come un Marco nascosto sotto un altro nome. Di ciò ne beneficiarono dopo il 2001 tutte le nazioni associate alla Germania, compresa l’Italia. Difatti, nei Paesi dell’area dell’Euro si ebbero tassi di interesse sul debito pubblico generalmente bassi (lo spread per intenderci); ci si giovò di una moneta molto apprezzata sul Dollaro, il che permetteva agli europei acquisti a buon mercato di materie prime, in primo luogo il petrolio; si diffuse insomma fiducia; il resto del mondo, per l’appunto, guardò ai Paesi dell’area Euro come a un unico solido blocco.
Ma questa finestra di stabilità – è chiaro – non sarebbe potuta durare a lungo. I Paesi strutturalmente più deboli (quelli per spiegarci mediterranei, tra cui in primo luogo Spagna, Italia e Grecia) avrebbero dovuto sfruttare i primi anni dell’Euro – durante i quali la Germania garantiva moralmente per tutti – per fare le necessarie riforme, per dotarsi in definitiva in tutti i campi (economico, sociale, politico, sanitario, dell’istruzione, della giustizia, ecc. ecc) di strutture che legittimassero il possesso di una moneta forte.
I Paesi, dunque, che non hanno fatto le necessarie riforme possono solo rimproverare se stessi: non hanno saputo sfruttare il periodo 2001-2008 per cominciare a portarsi al livello delle nazioni europee più sviluppate e in primo luogo della Germania. Poi, la Grande Crisi ancora in corso, cogliendoli impreparati, ha fatto il resto per affossarli sempre più. L’incognita è adesso: avranno imparato dagli errori fatti? Riusciranno a tirarsi fuori dai loro problemi?
GianPaolo Ferraioli