Lettera di Aldo Mucci.
In un momento economico difficile come quello attuale, dove le famiglie contano gli spiccioli di fine mese per sopravvivere, come “tecnicamente” programmato “dal Governo dei professori ”, dove le famiglie devono necessariamente fare ricorso a finanziamenti e prestiti, impegnando i pochi averi e riducendo drasticamente i compensi, per far fronte freneticamente e con enorme stress al pagamento di rate, bollettini, bollette ed altro, ci sovviene un “balzello fiscale” che vorremmo analizzare: il canone Rai. Quanto vale il ”benedetto” canone di abbonamento Rai? Cioè, quanti soldi deve sborsare il cittadino per mantenere in piedi il servizio televisivo pubblico che invece potrebbe vivere solo di introiti pubblicitari. Il finanziamento della RAI avviene per il 47% mediante gli introiti del canone e per il 40% da proventi pubblicitari e per il restante 13% da altre attività, quali la cessione di diritti per la diffusione di programmi sportivi o film. Da una prima “sbirciatina” tra i bilanci Rai che difficilmente trovi su internet, il canone di abbonamento vale 1,70 miliardi di euro circa. Se poi si analizza quanto incassa la Rai con la pubblicità, cioè 1,05 miliardi, capisce come l’abbonamento costituisca, rispetto a tutti i ricavi, che ammontano 3,02 miliardi, ben il 56%. Si dice che la Rai deve fare un servizio pubblico, ed un genere di programmi poco appetibili agli sponsor. In realtà, guardando i palinsesti, non si nota una gran differenza tra Rai e Mediaset mentre si nota forse una minore attenzione alle spese grazie, appunto, alla salvaguardia canone. In un periodo duro, con la spending review alla finestra, è tempo che i dirigenti pubblici imparino a competere qualitativamente e a far quadrare i bilanci senza sperperare, e senza far conto sempre sul paracadute pubblico. Un paracadute che rischia di non aprirsi nei momenti veramente necessari al Paese.
Aldo Mucci