Povertà e disperazione, Mucci: “sto con chi ruba”.

Dalla sua elezione a Pontefice, Papa Francesco, non ha fatto altro che ribadire un concetto fondamentale: “una società può essere veramente dinamica, inclusiva e competitiva soltanto se sa prendersi cura di tutti i suoi membri, compresi gli ultimi. Una società che dimentichi i poveri, cioè una società che li escluda programmaticamente, è una società che nel suo insieme dopo poco tempo consuma le proprie risorse, e quindi non è più neppure in grado di stare sul mercato in maniera dinamica”.

Una società coesa, compatta, che crea legame, che investe in fiducia – e non si può avere fiducia in un Paese in cui la povertà dilaghi – è invece una società che libera quelle energie che sono anzitutto morali ed intellettuali, che possono servire per avere successo anche sul mercato, in termini economici. Non si riesce a capire, oggi, che i due termini non sono una dicotomia, non sono diversi, ma sono due risvolti di una medesima questione. Solo affrontandoli insieme è possibile liberare quelle energie che possono farci uscire dal tunnel.

Ogni giorno veniamo sommersi dai numeri, dalle statistiche, dalle relazioni nazionali, internazionali, dalle agenzie (Istat – agenzie Onu – centri di ricerca Unicef – Save the Children – etc), che indicano percentuali di povertà. Tutti dicono la stessa cosa: fame e disperazione Quei numeri li ritroviamo per strada, li tocchiamo fisicamente ogni giorno, passandogli accanto con scolorita indifferenza. Mi lascia un po’ perplesso, il “paniere” Istat, dove ancora oggi vi troviamo: abbigliamento, abitazioni, cinema, istruzione, reddito, consumi.
Mancano le “voci” disperazione, fame, lacrime.
Come dimenticare la storia di “G”, un operaio disoccupato con tre figli in tenera età da sfamare. “G” entra in un supermercato si aggira tra gli scaffali, guarda, trema, poi infila nella camicia quanto trova a portata di mano. Un pacco di pasta, un pezzo di formaggio e delle merendine che avrebbero “riacceso” il sorriso alle sue bimbe, sedute attorno ad un tavolo triste e vuoto.

Mi sovviene un aforisma di Max Frisch, scrittore svizzero tedesco : “Colui che è affamato non ha scelta. Il suo spirito non proviene da dove lui vorrebbe, ma viene dalla fame”.
Personalmente, sto dalla parte di “G”.

Aldo Mucci

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