Sciacca. Storia di un medico bravo, reso “Verderame” di rabbia.

Francesco Verderame è un medico. Un bravo medico, fa l’oncologo. A Sciacca lo conoscono tutti per le sue capacità, ma anche per le doti umane che mette a disposizione di pazienti e loro parenti. Ha lavorato per anni in ospedale, Francesco Verderame. Lo ha fatto dirigendo l’unità semplice di oncologia del Giovanni Paolo II. Senza badare troppo agli orari, sempre pronto ad alzare la cornetta, a dare un aiuto, a chiedere aiuto a qualche collega, a rispondere continuamente “avanti” a chi bussasse alla sua porta.

Francesco Verderame lascerà l’oncologia del Giovanni Paolo II. Ha vinto un concorso, e dirigerà l’unità operativa complessa (dove è richiesto un primariato) del Villa Sofia di Palermo. Un avanzamento di carriera, visto che al Villa Sofia disporrà di un’equipe di bravi medici come lui. E poi: posti letto, diagnostica, radio e chemioterapia. Tutto quello che serve per esercitare la professione di medico come Ippocrate comanda.

Raccontata così, sembrerebbe una storia semplice. Niente di trascendentale. Il fatto è, però, che la partenza di Verderame tra la gente di Sciacca sta equivalendo ad una sciagura. Non parla con nessuno, eppure tutti sanno che se fosse stato per lui, non avrebbe mai lasciato l’ospedale. Per anni ha chiesto che l’oncologia di Sciacca fosse trasformata in unità operativa complessa, che venisse inaugurato un servizio di radioterapia, che si istituisse un numero di posti letto adeguato alle esigenze di un territorio dove i malati di tumore, purtroppo, stanno aumentando. Per anni è andato a bussare alle porte dei dirigenti per chiedere l’assegnazione di una borsa di studio per un giovane assistente, un incarico per un altro medico, una disponibilità significativa di infermieri ed ausiliari. E non è che nelle alte sfere gli rispondessero di no. Al contrario: gli garantivano impegni di spesa, studi di settore, elaborazioni. Gli rispondevano: faremo, provvederemo, adegueremo. Eppure le cose, puntualmente, prendevano una piega completamente opposta. L’Asp ha fatto diventare reparto a tutti gli effetti l’oncologia del San Giovanni di Dio di Agrigento, ha istituito lì la radioterapia, non ha accolto nemmeno una delle richieste di Verderame. Che andava a fare rifornimento di risorse umane. Ma la sua “spesa” era sempre povera. Chiedeva dieci, otteneva due, al massimo tre.

Stanco, e in possesso di titoli mica da poco, Verderame ha scelto di andarsene via. E non parla, preferisce tenere la bocca chiusa. Anche perché, quando si è permesso di fare delle valutazioni oggettive sulle difficoltà in cui era costretto ad operare, è stato perfino richiamato. “Lei non è autorizzato a rilasciare interviste”, sono persino arrivati a dirgli. A lui, che avrà pure le sue idee, ma è una persona moderata e perfino mite. Evidentemente ha sospettato che qualcuno lo ritenesse mite e al tempo stesso fesso. No, francamente un po’ troppo.

Verderame dunque saluta e se ne va. Nemmeno lui può esercitare il ruolo di profeta in patria. Ma perfino questa vicenda, per qualcuno, è il simbolo della presunta volontà di smantellare l’ospedale di Sciacca, in un’ottica gestionale generale della sanità in provincia ritenuta palesemente “agrigentocentrica”. Gestione che valorizzerebbe il San Giovanni di Dio penalizzando il Giovanni Paolo II. Il contesto ipotizzato è sempre quello: scelte politico-clientelari, dove il potente di turno decide collocazioni, benefit, incarichi, produttività.

Perfino al sindaco di Sciacca Fabrizio Di Paola questa vicenda puzza di bruciato. Anche se, per la verità, in una lettera ha preferito il linguaggio della cortesia istituzionale per chiedere le ragioni per le quali gli impegni per l’oncologia di Sciacca sono rimasti tra le scartoffie, chiusi nei cassetti degli uffici dell’Asp, con la conseguenza che un professionista illuminato come Francesco Verderame alla fine probabilmente abbia deciso di andare via. Quando ne avrebbe fatto a meno.

Articolo di Massimo D’Antoni

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