Dopo il successo ottenuto da Eiapopeia. L’infanzia nell’opera di Paul Klee, poi ospitata al Klee Zentrum di Berna, il Museo Archeologico Regionale di Aosta propone dal 26 maggio al 21 ottobre 2012 la grande mostra Wassily Kandinsky e l’arte astratta tra Italia e Francia, che comprende oltre 90 opere.
L’evento è incentrato sull’ultimo ventennio della produzione del maestro russo ed evidenzia rimandi e confronti con significativi artisti del periodo in Italia e in Francia.
La rassegna a cura di Alberto Fiz, realizzata dall’Assessorato Istruzione e Cultura della Regione autonoma Valle d’Aosta in collaborazione con la Fondazione Antonio Mazzotta, porta l’attenzione sull’iter creativo di Kandinsky in un percorso che prende avvio dal 1925, quando termina la stesura del fondamentale manoscritto Punto, Linea, superficie (verrà pubblicato nel 1926), e termina nel 1944, anno della sua scomparsa. La mostra si apre con Spitz-Rund (Appuntito tondo), del 1925, proveniente dall’Accademia Carrara, Galleria d’Arte Moderna e Contemporanea, Bergamo, dove compare il riferimento al cerchio come elemento cosmico, e si conclude con le testimonianze dell’ultimo biennio parigino.
L’esposizione si avvale di un prestigioso comitato scientifico di cui fanno parte Pietro Bellasi, Riccardo Carazzetti e Martina Mazzotta Lanza.
Le opere di Kandinsky sono oltre 40, tra cui spiccano alcuni capolavori degli anni Trenta e Quaranta mai presentati prima d’ora in Italia.
Tra i più celebrati maestri del ‘900, pittore e teorico, ma anche personalità dedita a diversi interessi, tra cui la musica e la scenografia, tanto da creare alcune composizioni sceniche teatrali, Kandinsky non solo è il fondatore dell’astrattismo, ma ha attraversato stagioni diverse, passando da una fase iniziale simbolista all’esperienza Bauhaus, fino al periodo parigino degli ultimi anni.
Le testimonianze in mostra provengono da collezioni pubbliche e private italiane e straniere tra cui: Accademia Carrara, Galleria d’Arte Moderna e Contemporanea, Bergamo, MART Museo d’Arte Moderna e Contemporanea di Trento e Rovereto, CSAC – Centro Studi e Archivio della Comunicazione, Università degli Studi di Parma, Civica Biblioteca d’Arte di Milano, Fondazione Marguerite Arp di Locarno, Pinacoteca Comunale Casa Rusca, Locarno e la raccolta privata dell’artista Max Bill.
Si potranno ammirare, inoltre, significativi lavori di artisti con cui l’opera di Kandinsky ha instaurato un dialogo creativo come Hans Arp, SophieTaeuber-Arp, César Domela, Florence Henri, Joan Miró, Francis Picabia e gli italiani Piero Dorazio, Gillo Dorfles, Alberto Magnelli, Alessandro Mendini, Gianni Monnet, Mauro Reggiani, Ettore Sottsass, Atanasio Soldati e Luigi Veronesi.
In una mostra ricca di sorprese, viene ricostruita la Sala da Musica dell’Esposizione Internazionale di Architettura a Berlino del 1931 in cui, su disegno di Kandinsky, fu realizzata una decorazione murale in ceramica.
Con la collaborazione dello Sprengel Museum di Hannover, viene inoltre proposta, in una sala dedicata, la registrazione della “composizione scenica” di Kandinsky, Violett, con scenografie realizzate su suo disegno. La registrazione ripropone la trasposizione a cura del Verein Kunst und Bühne di Hannover tenutasi presso lo Sprengel Museum di Hannover nel 1996. In quest’occasione, dunque, emerge la figura a tuttotondo di Kandinsky, nonché la relazione tra arte e musica così importante nella sua ricerca.
Il carattere trasversale della mostra offre l’opportunità di un’approfondita analisi critica in un contesto che coinvolge Italia e Francia e in questa direzione non mancano prospettive d’indagine, talvolta inedite, di sicuro interesse.
Si tratta, dunque, di un progetto particolarmente significativo che privilegia l’indagine realizzata da Kandinsky negli ultimi vent’anni della sua ricerca, quando le tensioni di matrice spirituale ed emozionale lasciano il posto ad una rinnovata indagine sulla superficie e sullo spazio, passando attraverso la geometria prima e al mondo della scienza dopo.
“Il linguaggio sviluppato da Kandinsky come progressiva tensione di forze conduce ad un superamento dei canoni estetici tradizionali e alla conquista di nuove prospettive spaziali che saranno determinanti per l’arte del secondo dopoguerra”, afferma Alberto Fiz. “Spesso non considerata a sufficienza, l’ultima fase della ricerca di Kandinsky assume un’importanza fondamentale in quanto apre alla pittura nuove prospettive d’indagini che investono la componente imperscrutabile del cosmo.”
Negli anni del Bauhaus, Kandinsky si concentra sulla linea piuttosto che sul colore e descrive i suoni che scaturiscono dagli angoli retti, acuti e ottusi. L’artista non dipinge oggetti che derivano il loro significato dal mondo esterno, ma utilizza le forme astratte nel loro valore esclusivamente pittorico e immanente. I triangoli sono collocati gli uni sugli altri o l’uno accanto all’altro ma, pur costringendosi all’interno di un vocabolario limitato, l’artista investe la pittura di variazioni straordinarie, non realizzando mai moduli ripetitivi o prevedibili. In mostra lo dimostrano opere come Rot in Spitzform, del 1925 proveniente dal MART di Rovereto, o Quatre, del 1934. Sin dalla fine degli anni Venti, si percepisce una nuova libertà, un più consapevole senso dello spazio in composizioni dove la geometria non è un vincolo alla composizione, come confermano lavori profondamente poetici, Schwarzes Stäbchen (Bastoncini neri), o Dumpf-Klar (Cupo-Chiaro), entrambi del 1928.
“Il punto”, scrive Kandinsky, “è la forma interiore più concisa. Esso è introverso, significa silenzio, non presenta la minima tendenza al movimento in nessuna direzione, né orizzontale, né verticale. Non avanza e non retrocede.”
Dopo la chiusura del Bauhaus, alla fine del 1933 Kandinsky, con la moglie Nina, si trasferisce a Parigi e su consiglio di Marcel Duchamp prende un appartamento a Neuilly-sur-Seine. Nella capitale francese rimarrà per undici anni e sebbene appaia piuttosto isolato in una città dove dominavano i surrealisti e i cubisti, la sua ricerca trova nuovi stimoli giungendo a risultati del tutto innovativi spesso non sufficientemente valorizzati.
Tra gli obiettivi della mostra aostana c’è proprio quello di rivelare l’indagine di questo periodo attraverso l’esposizione di una serie di capolavori come Balancement del 1942 o Inquiétude del 1943. Come ricorda Alberto Fiz, “in questi anni l’astrazione non è più un dogma assoluto e Kandinsky si rivolge al mondo della natura con l’occhio dello scienziato attingendo ad un universo infinito di immagini scoperte sott’acqua o attraverso l’uso del microscopio”. Così amebe, embrioni, morfologie di cellule organiche e creature marine compaiono nei suoi dipinti accanto ad elementi geometrici o a riferimenti segnici che rimandano all’oriente o alla cultura russa. Sono opere che nascondono una forte insofferenza ma anche un afflato verso la libertà del linguaggio e un gusto ironico in un progressivo scardinamento delle regole. Non è un caso che ad apprezzare compiutamente il suo lavoro sia Frank Stella che si è mosso con straordinaria autonomia nell’ambito dell’astrattismo. L’artista americano, infatti, ha individuato nelle opere realizzate da Kandinsky nel periodo parigino un tentativo di superamento del mondo bidimensionale dell’arte astratta creando un nuovo tipo di spazio pittorico senza, peraltro, sconvolgere la prospettiva classica e l’illusionismo tridimensionale.
Fondamentalmente, è proprio il processo di crescita della forma, l’esplorazione del mondo scientifico a fornire a Kandinsky la risposta alle proprie inquietudini. Kandinsky a Parigi instaura un rapporto di amicizia con Jean Arp e Sophie Taeuber-Arp, Alberto Magnelli e Joan Miró, tutti presenti in mostra con una serie di opere importanti a testimonianza del dialogo intenso e delle suggestioni reciproche.
Nella rassegna aostana ciascun ambiente è contrappuntato da un’esperienza “altra” dove la prospettiva si amplia in base ad un’indagine connessa con le problematiche di forma e costruzione.
Proprio Magnelli, a proposito di Kandinsky, ricorda “quanto nitido fosse ciascun segno, da quanto ogni forma da lui pensata fosse perfettamente precisa; nulla era lasciato al caso e nulla era imprevisto”. Anche con Miró si sviluppa un rapporto di ammirazione: Kandinsky non solo visita la sua mostra alla Galerie Jean Bucher nel 1943 ma lo descrive come “il piccolo uomo che dipinge sempre grandi tele, un vero vulcano che progetta i suoi dipinti.” E non c’è dubbio che le forme biomorfe di Mirò e di Arp si relazionino con le opere di Kandinsky tese verso la degeometrizzazione.
Di fondamentale importanza è, poi, il rapporto di Kandinsky con l’Italia come conferma la sua celebre personale organizzata tra aprile e maggio del 1934 alla Galleria del Milione di Milano, di cui in mostra è esposto un acquarello (Versunken – Immerso, 1929). A testimoniare questa relazione sono esposte opere di Gillo Dorfles, Gianni Monnet, Mauro Reggiani, Ettore Sottsass, Luigi Veronesi e Atanasio Soldati. Di quest’ultimo, per esempio, viene presentata Trenta, una riflessione sulle forme segniche, che si pone in diretta relazione con l’opera omonima realizzata da Kandinsky nel 1937.
Nel dopoguerra, poi, in Italia un ruolo importante per la totale comprensione dell’arte di Kandinsky è svolta da Piero Dorazio che lo considera “il grande innovatore della pittura contemporanea per il mezzo secolo che si apre ora.” Dorazio, presente in mostra con una rara serie di opere kandinskiane risalenti alla seconda metà degli anni Cinquanta, ha un ruolo fondamentale nel riscoprire il maestro russo dopo la sua morte. In occasione della Biennale di Venezia del 1950, dove Kandinsky è presente con una sala personale, Dorazio scrive a Nina Kandinsky: “La sala Kandinsky è per tutte le persone intelligenti che conosco una vera rivelazione e, in sintesi, il risultato della Biennale è che ciò che si vede sono Kandinsky e Magnelli.”
E’ presente inoltre il riferimento al design di Alessandro Mendini che offre un vero e proprio omaggio a Kandinsky realizzando un ambiente interamente ispirato al maestro russo con un arazzo, un dipinto, una credenza, una specchiera e il divano Kandissi del 1978, una delle realizzazioni più celebri di Alchimia dove si realizza una contaminazione tra colore e forma, perfettamente coerente con le teorie di Kandinsky. Come scrive Mendini, “La composizione degli oggetti è fatta di segni visivi, gli stilemi sono degli alfabeti adatti a invadere ogni cosa. E’ un processo continuo, energetico, infinito”.