“Le Baccanti” di Euripide, unica tragedia di carattere dionisiaco a noi pervenuta, è stata rappresentata dalla compagnia teatrale palermitana I Policandri, domenica 30 Marzo al teatro ‘Aldo Nicolaj’ di Calamonaci.
Una tragedia non certo facile per il pubblico che rappresenta l’irruzione nel pensiero razionalistico della società greca dell’elemento irrazionale costituito dal culto di Dioniso, con il suo seguito di menadi danzanti e i suoi simboli caratteristici, tirso e vino.
“Le campagne dei lidi ricche d’oro ho lasciato e dei frigi.. e per prima sono arrivato in questa città dei greci, per istituire tra loro danze e ordinare i miei misteri… È Tebe la prima città dell’Ellade dove ho fatto echeggiare il grido sacro e indossare la nèbride e afferrare il tirso…” – afferma Dioniso personaggio all’interno della tragedia.
Al momento della sua introduzione in Grecia il culto di Dioniso conservava il suo tipico e selvaggio carattere orgiastico. Ciò dovette suscitare le diffidenze delle autorità pubbliche, preoccupate per un tipo di esperienza religiosa diversa da quella che ciascun greco instaurava con la divinità: l’adorazione degli dei olimpici comportava il riconoscimento del divario incolmabile che c’è tra l’uomo e la divinità. Dioniso, al contrario, è un dio ben diverso che procura nei suoi adoratori un particolare stato emozionale, definito ekstasis (essere, uscire fuori di sé) e di enthousiasmos (essere posseduti dal dio, indiarsi).
Penteo, re di Tebe, non comprende la natura di questi particolari stati emozionali, nega il dio e fa di tutto per contrastare la diffusione di questi particolari riti a seguito dei quali le donne appaiono incontrollabili e preda di una particolare mania, o pazzia. L’estasi dionisiaca le possiede e sono capaci, in tale stato, di sbranare a mani nude animali viventi per cibarsi delle loro carni. Rappresentare al giorno d’oggi il coro delle Baccanti sulla scena, con smorfie, gridolini, movimenti isterici e danze convulse, non deve essere stato facile per le attrici della compagnia di Palermo.
Il risultato però è stato efficace, le interpreti hanno bene reso l’idea di estasi dionisiaca, nonostante l’incomprensione di parte del pubblico di questo particolare stato emozionale che si raggiunge solo in rare occasioni.
La stessa sensazione di smarrimento che prova Penteo, che non comprende la natura del dio e l’isteria allo stato puro che si impadronisce man mano delle donne della sua città. La sua dannazione è quella di negare, la vendetta del dio Dioniso è oltremodo violenta: fargli perdere definitivamente il controllo di sé, portandolo ad una fine sadica. Penteo è eretico agli occhi del dio, ma lo è perché il re di Tebe è oltremodo razionale e si oppone a ciò che non capisce: il potere dionisiaco, agli occhi dei greci, costituiva un grave elemento di disturbo sociale dato che le donne ne venivano irresistibilmente attratte, lasciavano i loro telai e le spole e provavano quindi una sensazione di totale libertà, in contrasto con la loro vita normalmente relegata all’interno delle mura domestiche.
Penteo reprime ciò che vi è di elementare nella natura umana e la punizione che ne deriva sta nel crollo improvviso delle dighe interiori, quando le energie primitive si aprono una strada con la forza e la civiltà scompare.
Per un conservatore, quale è Penteo, l’accettazione di Dioniso costituiva motivo di vergogna per i greci. Significativo il serrato dibattito nel primo episodio della tragedia tra Penteo e l’indovino Tiresia, realizzato sui contrasti: l’uno rappresenta il garante del nomos, quindi dello Stato, Tiresia, invece, il fedele osservatore dei ritmi della natura che propugna un tipo di saggezza più umile fondata sull’accettazione delle credenze dei padri. Tiresia suggerisce al sovrano di accettare l’esistenza del nuovo dio Dioniso, ma Penteo lo considera lesivo del suo potere e della sua autorità su Tebe.
La punizione della tracotanza (hybris) di Penteo è annunciata da Tiresia attraverso l’associazione del nome del sovrano con penthos, che significa lutto o dolore.
Suggestiva la rappresentazione simbolica del corpo dilaniato di Penteo sulla scena e le reazioni di nonno Cadmo e della madre Agave alla scoperta che il trofeo che porta dalla battuta di caccia non è la testa di un leone, ma quella del figlio…