Ciao, Salvatore

coppolaMi sono spesso chiesta, nel corso di questa settimana, di cosa avrei scritto stavolta in questo spazio. Accade che l’idea arrivi all’improvviso, sollecitata da un fatto di cronaca, da un avvenimento, da una ricorrenza.

Fino a questo momento, questo in cui sto scrivendo, ero sicura che avrei scritto di Lou Reed. Sapevo già che era alta la possibilità che io scrivessi d’altro, di qualcosa che mai avrei voluto scrivere, ma mi auguravo che questo tempo fosse ritardato il più possibile.
Perché sapevo che Salvatore Coppola era in coma profondo a causa di un aneurisma cerebrale, sapevo che non c’erano speranze, ma ancora speravo. Speravo come sperano i bambini che chiudono gli occhi davanti a ciò che fa loro paura.
E invece Salvatore Coppola se n’è andato, e non so nemmeno dire se sia un bene o un male, perché da giorni non c’era già più.
Parlo di Salvatore Coppola non solo perché l’ho conosciuto, non solo perché gli ho voluto bene.
Parlo di Salvatore Coppola perché ha rappresentato una parte bella della Sicilia, la parte sana e pulita.

Salvatore Coppola era “Salvatore Coppola editore”; l’editore trapanese che aveva fatto della lotta alla mafia e dell’impegno il filo conduttore della sua vita.
Ma era tante cose, Salvatore. Era editore, autore struggente, persona colta e raffinata, generosa e gentile.
Era un uomo talmente semplice da apparire complesso, a volte.
“Salvatore il puro” lo chiamavo nella mia testa quando pensavo a lui. Perché puro era, nella scelta dei libri da pubblicare, nelle idee, nell’anima.
A vederlo, sembrava un uomo solo, forse perché era pudico anche nella grandezza delle sue amicizie. E invece attorno a lui, nei giorni del suo coma, si sono radunati amici e conoscenti, insieme a persone che non l’avevano mai conosciuto eppure sentivano di volergli bene. Tutti – spesso non sapendo nulla l’uno dell’altro, eppure insieme – hanno aderito a un gruppo su Facebook con il solo desiderio di fargli arrivare in qualche modo la loro vicinanza.
Anch’io ero lì, in quel gruppo, a postare pensieri, ad aspettare notizie. Ho scritto che un gruppo nato come dono per lui è diventato un dono che lui ha fatto a noi, a noi che abbiamo sperimentato la vicinanza pur nella totale ignoranza delle vite altrui. Siamo rimasti vicini nell’attesa, e nel dolore.
Questo faceva Salvatore: univa.

Scrivo adesso questo pezzo – adesso che le parole muoiono in gola – perché credo sia giusto che si parli di lui, almeno adesso. Anche se non potrà mai più leggere i nostri messaggi su FB, anche se non potrà mai più sapere che di lui si sta parlando, credo sia profondamente giusto che di lui si parli.
E, scrivendo questo pezzo, la fatica più grande è costituita dal parlare di lui al passato.
Non riesco proprio a immaginare che lui non ci sia più. Non riesco a immaginare un’occasione, un evento, una manifestazione in cui si parli di libri senza vederlo arrivare – lui sempre in cammino, lui sempre instancabile – alto e magro, la coppola in testa, la sua bonaria sagacia, e il suo buonissimo, sgangherato sorriso.

Anna Burgio

2 Commenti

  1. Solo adesso conosco il nome dell’autore della foto, Roberto Miata. Qui lo ringrazio per avere saputo cogliere e fissare l’anima bella di Salvatore.

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