La sveglia suona sempre troppo presto. Accade allora di alzarsi già stanchi, già con un senso di rassegnazione, vissuto però sommessamente, quasi sottovoce, perché ci si alza per andare al lavoro, e questa è una fortuna.
Ci sono giorni, tuttavia, in cui lasciare il letto non è una levataccia, tutto appare più agevole, più lieve. Sono i giorni in cui capisco che ho fatto davvero presto quando, uscendo dal portone di casa, trovo il buio intorno a me.
Oggi è un giorno di questi. Sono partita col buio e non finirà mai di meravigliarmi lo spettacolo che, in mattine come questa, mi si presenta di fronte. Nel giro di qualche decina di minuti – proprio una manciata, non di più – il cielo diventa da nero dapprima rosato, poi azzurro. È un cielo attraversato da strisce di nuvole striate, quello a cui vado incontro oggi.
Sarà una buona giornata, ancora un ottobre di luce piena, ancora calore.
Va tutto bene, ma c’è qualcosa di sottofondo che mi disturba, un’idea che non mi quadra, notizie ascoltate da poco che mi inducono a pensare che il mondo è davvero strano.
Si è molto parlato di sepolture, in questi giorni. Ed eccola, l’incongruenza che mi solletica i pensieri: una salma senza funerale, un funerale senza salme.
Un’Italia intera si è accalorata, nei giorni scorsi, sulla questione delle esequie di Priebke. Sappiamo bene chi era Erich Priebke: capitano delle S.S., responsabile dell’eccidio delle Fosse Ardeatine, sempre arrogante, senza mai un accenno di revisione, né di pentimento. Il suo ritrovamento in Argentina, l’estradizione in Italia e la conseguente condanna all’ergastolo arrivarono troppo tardi – quando l’uomo era già vecchio e aveva vissuto in piena libertà gran parte della sua esistenza – per costituire un ideale senso risarcitorio e di giustizia non solo in tutti coloro che per colpa sua avevano sofferto, ma anche in tutti quelli che sono convinti che razza, credo o colore della pelle non possono, in ogni caso, costituire un motivo per morire.
Sono ferite che non guariscono e da ciò probabilmente deriva l’ondata di rivolta contro le esequie dell’uomo, morto centenario.
A volte mi sento un po’ bastian contraria. Mentre il cielo sopra di me continua velocemente ad acquistare luce, penso che un funerale celebrato o rifiutato all’assassino Priebke non fa per me la differenza, non mi restituisce alcun senso di risarcimento.
Però non sono ebrea, e nemmeno c’è sangue di partigiani nelle mie vene; forse è questo il motivo per cui la querelle non mi appassiona, perché non mi brucia.
Tuttavia non sono neanche nera, penso subito dopo, eppure percepisco tutta la sofferenza degli uomini, delle donne e dei bambini neri che in Italia arrivano. Allora è una questione di vicinanza storica, questa è la mia epoca, questa è la gente – vicina o lontana non importa – che vive i miei stessi giorni.
Mi balena in mente una curiosa coincidenza di numeri: 335 furono i morti delle fosse ardeatine, 366 sono stati i morti della tragedia di Lampedusa. Questi ultimi, adesso, riposano in vari cimiteri della provincia di Agrigento, senza un nome sulla tomba, senza che i loro cari rimasti vivi possano rinfacciare la loro collocazione per esercitare il diritto di piangerli.
Una salma senza funerale, un funerale senza salme.
Quelli che erano stati annunciati come funerali di Stato, sono invece diventati una cerimonia commemorativa tardiva e anomala, che si è svolta ad Agrigento e non a Lampedusa, senza le salme e senza i loro parenti. Nessuno dei diretti interessati, insomma, né i vivi né i morti.
Più di trecento morti alle Fosse Ardeatine, molti dei quali ebrei; più di trecento morti a Lampedusa, tutti neri africani. Qual è la differenza? Non è un genocidio quello che vede come unica grande fossa il Mediterraneo? Il non avere un unico Hitler o un unico Priebke come responsabile ci autorizza a non condannare i responsabili non solo delle singole morti, ma anche della strage infinita?
O forse non impariamo mai dalla storia, e aspettiamo che il tempo passi per poi indulgere nel culto della memoria. Credo nella memoria, sono convinta che sia una delle poche risorse che abbiamo. Ma la memoria da sola non basta, se non siamo capaci di guardarci, oltre che indietro, anche attorno, per rendere più vivibile il presente.
Priebke sarà ora sepolto da qualche parte; non m’importa sapere dove, non m’importa se qualcuno gli ha impartito una benedizione. So che piangiamo ancora – anche perché non si dimentichi – i morti delle Fosse Ardeatine e il genocidio di ebrei sotto il nazismo. É giusto così, anzi è sacrosanto. Ed è giusto e sacrosanto indignarsi ancora, a distanza di decenni.
Temo però che non siamo altrettanto capaci di piangere un altro pezzo di umanità che muore nel nostro mare e nelle nostre coste. O meglio, le lacrime ci sono, ma l’indignazione non mi sembra esattamente la stessa.
Anna Burgio
1 Commento