L’estate è forse anche la stagione del sopore.
La mia è stata senz’altro una stagione intensa, ricca di aspettative, di ansie e di speranze, di fiato sospeso e poi di buone notizie.
È stata una stagione durante la quale ho fatto tante cose, ma probabilmente è stata del sopore anche per me.
Dev’essere così, la mia presenza nel mondo deve essere stata piuttosto distratta, se solo adesso mi accorgo che mi sono del tutto sfuggite notizie che, invece, avrebbero dovuto colpirmi: solo in occasione del recente Premio Campiello e della vittoria del libro “L’amore graffia il mondo” ho saputo che Ugo Riccarelli se n’è andato lo scorso 21 luglio. Chissà a cosa pensavo, in quei giorni, per lasciarmi sfuggire una notizia per me così importante.
Una vittoria postuma è sempre una cosa che sa di triste. Non so se a Riccarelli avrebbe fatto particolare effetto, non so se ne sarebbe stato particolarmente contento. Quando si soffre si rivede la scala delle priorità, ma è anche vero che quando si soffre ogni notizia lieta aiuta ad alleviare la sofferenza.
Lui aveva cominciato a scrivere soffrendo, anzi, forse aveva cominciato a scrivere proprio in conseguenza della sofferenza. Tenacemente attaccato alla vita, viene descritto da coloro che lo hanno conosciuto come un coraggioso ottimista, deciso a non farsi abbattere dalle contrarietà, che pure erano tante.
Riccarelli aveva vinto il premio Strega, nel 2004, con “Il dolore perfetto”, storia di amori e di anarchia, storia di uno spaccato della vita d’Italia a cavallo tra Ottocento e Novecento. Due famiglie, talmente diverse tra loro da essere addirittura opposte, si fronteggiano senza sapere di essere destinate a unirsi grazie al matrimonio tra Cafiero, figlio dell’anarchico Maestro, e l’Annina, figlia di Ulisse, commerciante di maiali.
Amo questo libro perché è tutto un susseguirsi di dolori perfetti e profumi di viole, lo amo perché è intriso del realismo magico di Garcia Marquez, lo amo perché risente del Tabucchi che Riccarelli conosceva; di questo libro amo a tal punto il personaggio dell’Annina dall’avere mutuato il suo nome, utilizzandolo per descrivere una parte di me.
E ora Ugo Riccarelli non c’è più, nessun altro dolore perfetto, niente più scarpe appese al cuore, niente più uomini che forse si chiamavano Schulz.
Riccarelli era morto e io non lo sapevo. Mi è anche accaduto, nel sopore attivo di questa estate, di pensare alla sua Annina e a lui, a un’intervista nella quale raccontava del suo doppio trapianto di cuore e polmoni. E lui non c’era già più.
È amaro trascorrere del tempo pensando a una persona come viva, e poi sapere che non c’era già più mentre noi ancora le attribuivamo azioni e pensieri.
C’è un libro – “Domani nella battaglia pensa a me” di Javier Marìas – che anche di tali stati d’animo tratta.
Ma questa è un’altra storia.
Anna Burgio
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