La difficile Integrazione dei minori di origine straniera, anche a Ribera bisogna provvedere

Ripropongo qui un articolo che affronta la difficile problematica dell’integrazione socio-culturale degli stranieri, con particolare riguardo per i minori di origine straniera, che oggi frequentano le nostre scuole. Anche a Ribera si registra un’elevata percentuale di minori stranieri che frequentano alcune classi delle scuole dell’infanzia, primaria e media inferiore. Il problema dell’Integrazione va affrontato soprattutto a livello politico, perché non si può tollerare la presenza di abitazioni, classi o quartieri ghetto per gli immigrati, comunitari e non. Ogni separazione dal resto della comunità riberese, che non sia affrontata per tempo, può portare, in futuro, a pericolose forme di devianza che riguardano in primis le seconde e le terze generazioni, come dimostrato ampiamente dal caso francese ricordato nel mio articolo. Per questo bisogna cominciare a riflettere sulla problematica e ad attuare interventi mirati finalizzati alla vera integrazione, concetto sociologico a più dimensioni. Si distinguono oltre all’aspetto scolastico, legato ad un’efficace integrazione culturale vista come la capacità di muoversi con disinvoltura tra più culture e lingue, anche un’integrazione abitativa, una sociale legata agli aspetti relazionali, una integrazione lavorativa onde non confinare immigrati e loro discendenti soltanto in alcune occupazioni manuali e malpagate, e infine, quale punto di arrivo in un ideale percorso, un’integrazione politica con l’acquisizione dello status di cittadino italiano.
L’integrazione scolastica da sola non basta, bisogna agire su più livelli. E non è certo utopia, ma pensare al futuro dei nostri figli e alla pacifica convivenza, basata sul rispetto reciproco e delle regole, tra le diverse etnie, che già popolano il nostro territorio. Perché ogni forma chiusura nel proprio mondo rappresenta un problema per la società.

L’integrazione socio-culturale dei minori di origine straniera appare come il problema più urgente con cui deve confrontarsi la società italiana. Alcuni fenomeni allarmanti come i fallimenti scolastici, la marginalità occupazionale, i comportamenti devianti, sono la spia di un malessere che inquieta e fa discutere, come ha osservato il sociologo Maurizio Ambrosini. Anche in Europa, le seconde generazioni scaturite dall’immigrazione sono diventate una delle problematiche sociali più avvertite. Secondo molte ricerche condotte in Europa, gli immigrati della seconda generazione fanno registrare da tempo tassi di criminalità più alti non solo di quelli della prima, ma anche di quelli dei coetanei autoctoni.

Il fallimento del modello “repubblicano” francese di assimilazione

Fino a poco tempo fa, in Francia, si negava l’esistenza di una questione sociale derivante dal rapporto problematico tra società riceventi e immigrati di seconda generazione. Il modello “repubblicano” di assimilazione degli immigrati si è sempre posto l’obiettivo di rendere francesi gli immigrati entro la prima generazione, il che ha impedito l’adozione di interventi pubblici o politiche a favore dei “giovani nati dall’immigrazione”, così definiti per una questione di principio: riservare loro un’attenzione particolare, riconoscendo quindi una diversità basata sull’origine straniera, avrebbe significato venire meno al precetto fondamentale dell’uguaglianza di tutti i cittadini. Tale principio ha impedito non solo il riconoscimento pubblico della presenza di popolazioni di origine immigrata come delle loro pratiche culturali, ma anche la presa di coscienza da parte delle istituzioni delle discriminazioni di fatto subite dai figli di immigrati, specialmente nord-africani, africani e turchi, in virtù della loro origine straniera. I giovani discendenti di immigrati possono rappresentare infatti un bersaglio per atteggiamenti discriminatori, se non di aperto razzismo, proprio per l’aspetto fisico, il nome, come per le pratiche religiose e i tratti culturali che li distinguono dalla maggioranza.

Nel 1997 si riteneva che i figli dei turchi, degli algerini e dei marocchini, raggruppati in bande di giovani fra i 12 e i 16 anni, fossero stati i principali protagonisti degli atti di vandalismo e degli incendi che avevano turbato la pace della città di Strasburgo, mentre non era casuale il fatto che questi giovani vivessero nei quartieri più poveri e con tassi di disoccupazione più alti delle città francesi; da allora però la concentrazione abitativa degli stranieri immigrati nelle periferie degradate ai margini della metropoli parigina e delle grandi città non è diminuita. Così, per spiegare la violenza che è divampata nelle banlieues francesi a partire dalla periferia nord orientale di Parigi, dove è avvenuto il primo scontro il 27 ottobre 2005, si può chiamare in causa la situazione degradata delle periferie, se è vero che, a quel tempo, il 26,7% dei residenti nei cosiddetti “quartieri sensibili” risultava essere disoccupato, mentre il 26,5% delle famiglie viveva in uno stato di povertà.
Per i giovani francesi sia autoctoni, sia di origine immigrata, il fatto di dichiarare di abitare in certi quartieri, dove si ha accesso a minori e peggiori servizi sociali, ha un effetto negativo condizionante nelle domande di lavoro e nell’immagine sociale, tanto da influire sulle prospettive di carriera e sul tenore di vita complessivo a cui questi giovani possono aspirare.

E in Italia?

L’esperienza francese può servire da insegnamento anche per l’Italia in relazione ai problemi affrontati, in particolar modo nell’età critica adolescenziale, da parte di quei giovani che proprio per la loro condizione di “stranieri”, spesso deprivati, etichettati e temuti, incontrano ostacoli nei percorsi di inserimento sociale. Sono soprattutto i soggetti nati all’estero e ricongiunti soltanto alle soglie dell’età adolescenziale ad incontrare le maggiori difficoltà e ad essere più esposti all’insuccesso: per questi soggetti, sottoposti ad un affrettato apprendimento dell’italiano a scuola e non aiutati in casa da genitori che conoscono male la lingua, il deficit linguistico rappresenta il principale ostacolo per il loro positivo inserimento nella società italiana. Nella ricerca svolta a Milano da Favaro e Napoli nel 2004, la questione della lingua emergeva chiaramente come il principale disagio patito dai giovani di origine immigrata. Il gruppo di ragazzi intervistati (tra i 14 e i 17 anni) avvertivano la necessità e il desiderio di sapere bene la lingua italiana per potere interagire con gli altri, avere successo a scuola e non sentirsi imbarazzati di fronte ai compagni. Dietro le carenze linguistiche si celano pur sempre altre difficoltà di interazione, dovute al sentirsi diversi e inadeguati rispetto ad un contesto nuovo e differente, come alla paura della discriminazione. Le conseguenze sono spesso l’isolamento e la solitudine, se non anche la “soluzione” adottata da alcuni di stabilire rapporti di amicizia con persone che parlano la stessa lingua e condividono gli stessi problemi. Si formano in tal modo gruppi basati sulla nazionalità, separati o “segregati” e potenzialmente ostili nei confronti del resto della società.

Articolo di Davide Cufalo,
pubblicato sul settimanale Momenti di Vita Locale nell’ottobre del 2008

Davide Cufalo

Davide Cufalo

Direttore responsabile di SicaniaNews. Ha collaborato con il Giornale di Sicilia, Momenti di vita locale, AgrigentoNotizie, Agrigentoweb e Palermo24h. Visita il suo Blog.

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