La matematica, il granito e Paolo Nori

la matematica è scolpita nel granitoNei giorni scorsi ho finito di leggere un libro che ha costituito davvero un viaggio e un miraggio. A scriverlo è stato, nel 2011, un emiliano che ha saputo raccontare una parte della Sardegna facendola diventare una vera sorpresa. In realtà l’emiliano – che di nome fa Paolo Nori e di mestiere “scrive dei libri” – questo testo nel 2011 lo ha solo pubblicato, avendo cominciato a scriverlo sul campo nel 2006 e continuando a farlo per cinque anni, sempre nello stesso circoscritto periodo di tempo.

“La matematica è scolpita nel granito” è infatti un libro costituito dalla raccolta dei diari del Cabudanne de sos poetas, festival di poesia che si tiene ogni anno a settembre a Seneghe, vicino a Oristano.
La lettura ha costituito, dicevo, un viaggio e un miraggio in un luogo e in un contesto incantati e incantevoli.
La scrittura non convenzionale, immaginata e rappresentata come libero flusso di pensieri che non ha bisogno di troppi punti e virgole, diventa ancora più inconsueta se si prefigge di raccontare fatti concreti, la cronaca di un festival sotto forma di diario.
Nori mi ha fatto pensare a un folletto buono, meravigliato lui per primo della magia che lo circondava nei giorni della manifestazione.

“A una cert’ora, alle dieci di sera in punto, tutti gli specchi del circondario vengono alzati al di sopra del livello delle bocche, che si riesce solo a vedersi i baffi stando in punta di piedi”.

Attorno allo scrittore/diarista si muovevano – quasi personaggi di un bosco fatato – i tanti poeti partecipanti al festival, nomi illustri dello scenario letterario italiano, fotografati dalle parole di Nori nella loro essenza più semplice e allo stesso tempo più vera. Ancora più attorno, l’inaspettato afflusso di centinaia di persone ad ascoltare “i poeti”, coloro che quasi per definizione vengono considerati di nicchia, quando non addirittura sfigati, anche se si chiamano Bruno Tognolini, Silvia Bre, Franco Loi, Mariangela Gualtieri.
A fare da contorno, i continui riferimenti dello scrittore alla sua terra, al punto che Emilia e Sardegna sembravano intrecciarsi e abbracciarsi, generando la spontanea riflessione che, se solo lo si vuole, nessuna terra è veramente isola.

Ho letto il libro come se si trattasse di una favola, presa da episodi e linguaggio che avevano dell’inverosimile, dell’irriverente e del divertente. È stata una lettura intrigante, di quelle durante le quali non sai mai cosa aspettarti nelle prossime righe, nel prossimo paragrafo, e a renderla più gustosa era il fatto che non si trattava di un romanzo giallo, né di un horror.

Ho letto il libro pensando, per tutto il tempo, che si trattasse di una storia inventata. A fine lettura, ho chiesto al sig. Google se sapeva qualcosa di un festival di Seneghe, e con mia grande meraviglia ho scoperto che esiste davvero e che è nato da un’idea di Flavio Soriga, al quale appartiene anche la frase che dà il titolo al libro.
Ho visto le foto che mi hanno confermato l’immagine che Nori mi aveva regalato con le sue parole: l’immagine di un paese in festa, di un clima di convivialità, di una cultura non spocchiosa ma condivisa, e hanno determinato in me lo stesso desiderio che Nori mi aveva suscitato, cioè quello di esserci.
Paolo Nori mi ha fatto viaggiare, stuzzicando contemporaneamente la voglia del mettersi in viaggio.
E per un libro non è affatto poco.

Anna Burgio

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