L’acqua come metafora: “Il giorno dell’acqua corrente”

L’acqua come metafora

“Il giorno dell’acqua corrente” di Peppe Zambito

il giorno dell'acqua correntePioviggina. È acqua che cade, diceva mia nonna.
Mi torna in mente l’ultimo libro di Peppe Zambito, “Il giorno dell’acqua corrente”, edito da Novantacento. È un libro di racconti, e si apre proprio con l’acqua piovana. Il filo conduttore, però, e lo dice lo stesso titolo, è l’acqua corrente.
Leggendo le pagine del libro, che ha come scenografia principale un ufficio postale, ho fatto un salto all’indietro di decenni. Mi sono ricordata di com’era la vita scandita essenzialmente dall’acqua o, meglio, dalla sua assenza. Mi sono ricordata di un recipiente supplementare su un soppalco in bagno, della giara sul balcone, della vasca da bagno sempre piena.
L’acqua ha condizionato le nostre vite, nel bene e nel male. E ancora adesso, che possiamo dire di non avere più – in linea di massima! – il problema dell’acqua, il condizionamento è rimasto, è rimasta la paura di rivivere ciò che è stato vissuto per tanti anni, la mancanza, l’arsura.
L’acqua.
Nel romanzo di Andrea Camilleri “La forma dell’acqua”, il primo del ciclo di Montalbano, a un certo punto si legge:
“E lui, a sua volta, mi fece una domanda. «Qual è la forma dell’acqua?». «Ma l’acqua non ha forma!» dissi ridendo «Piglia la forma che le viene data».”
L’acqua non ha forma, prende la forma che noi le diamo, a seconda dei recipienti che usiamo per contenerla. L’acqua non ha forma ed è anche, per definizione, incolore, insapore e inodore. Per questo aggiungo che, oltre alla forma, l’acqua assume anche il colore, il sapore e l’odore che noi le attribuiamo.
Nel libro di Peppe Zambito l’acqua assume caratteristiche che, per chi è cresciuto in questa terra di Sicilia, sono fortemente condivise: si respira il profumo del sapone da bucato, si ode il gorgogliare delle tubature, si vede il turbinio dei colori dei panni stesi al sole ad asciugare.
“Sono cresciuto desiderando l’acqua”, scrive a un certo punto Zambito.
Siamo cresciuti aspettando che uno degli elementi essenziali della nostra esistenza ci venisse erogato, concesso, centellinato, elargito.

Se l’ufficio postale è la cornice del libro, l’acqua ne diventa la colonna sonora. Il contenuto intrinseco è costituito dalla varia umanità dei personaggi che popolano i racconti: Rosa l’Africana, la Scecca, la Zicca movimentano le pagine con un continuo rimbalzare tra presente e passato, tra avvenimenti dell’oggi – raccolti e vissuti dentro l’ufficio postale – e storie di ieri. A raccontare sono spesso gli anziani, donne e uomini tratteggiati con attenzione e sensibilità; a essere raccontate sono figure particolarissime, solo apparentemente quasi fiabesche o inverosimili, perché in realtà avremmo potuto facilmente incontrarle per le strade dei nostri paesi.
Sono storie che parlano del passato, ma che sono fortemente radicate nel presente. Oserei dire che tolgono la sete, saziano il bisogno di conoscere le nostre origini, di sapere di quale pasta siamo fatti.
In questo senso, l’acqua del libro di Peppe Zambito è per me una metafora. Diventa metafora del ricordo, della storia che favorisce la consapevolezza di sé, che ci aiuta a capire chi siamo e, proprio per questo, leva l’arsura, toglie la sete, soprattutto in un’epoca in cui ci sentiamo tutti un po’ disorientati e assetati di risposte.
Ma l’acqua diventa anche metafora dell’attesa della festa, e poi metafora della festa stessa.
Con ansia si aspettava l’arrivo dell’acqua corrente, con gioia si viveva la sua venuta.
Come per l’acqua corrente, dovremmo forse imparare a rivivere la sana ansia dell’attesa, per poi riuscire a riconoscere e ad assaporare la bellezza che, in un modo o nell’altro, attraversa i nostri giorni.

Anna Burgio

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