L’emigrazione nel DNA del popolo siciliano: equivoci e paure infondate sul fenomeno migratorio

Il fenomeno della migrazione è antico quanto l’umanità. Migrare, cioè spostarsi da un territorio ad un altro in cerca di un migliori condizioni di vita, è un’attività che ognuno di noi ha sperimentato, sia in prima persona, sulla propria pelle, come studente, commerciante o semplice lavoratore, sia in maniera indiretta attraverso i racconti dei nostri nonni, amici o conoscenti. Esistono infatti le migrazioni interne ad una stessa nazione, lungo la direttrice Sud-Nord Italia ad esempio, e le migrazioni da uno Stato all’altro. Chi, ad esempio, non conosce l’esistenza di varie comunità di riberesi che si sono insediate all’estero, ad Elizabeth negli Usa, in Canada, in Belgio, in Germania e in Francia? Il popolo siciliano ha già vissuto l’esperienza dell’emigrazione, ha accolto e continua ad accogliere tanti immigrati con grande umanità.
Penso ai versi della canzone interpretata da Rosa Balistreri, in cui si esprime la nostalgia di aver lasciato la propria terra e i propri cari:

Pensu a sta terra ca mi sta luntana,
sta terra prufumata sutta ‘u suli,
ca iu lassai pi ghiri a travagliari,
cu gran duluri e granni dispiaciri.
Pensu a la me casuzza chi lassai,
a li biddizzi di sta terra mia, […],
e pensu notti e jornu di turnari.
[Nustalgia o Canto di emigrazione – testo di Giuseppe Nicola Ciliberto]

Il pensiero di ritornare in patria non abbandona dunque il migrante, siciliano, africano o di altra regione geografica. Il concetto è semplice: si abbandona a malincuore la propria patria e non per il piacere di farlo. La migrazione in questo caso è per lavoro. Il lavoro e la necessità di sussistenza è una delle principali ragioni di emigrazione, accanto alla fuga da guerre e persecuzioni.
Non meravigliamoci dunque se dalle coste delle Nord-Africa arrivano migliaia di migranti, su barconi fatiscenti, disposti a rischiare la propria vita e a pagare carissimo ai “commercianti di carne umana” il viaggio della speranza, pur di sfuggire alla fame o alla guerra. Non credo che nessuno di noi ha il piacere di lasciare la propria casa o il suolo natìo, se non fosse spinto da necessità più urgenti, come la stessa sopravvivenza. E nessuno affronterebbe il rischio di affogare in alto mare se non sfuggisse dalla disperazione più nera.

Chiariamo adesso alcuni concetti e sgombriamo il campo da alcuni equivoci sul fenomeno delle migrazioni.
L’economia italiana esprime un elevato bisogno di manodopera immigrata, specialmente in alcuni settori lavorativi. Le quote di lavoratori immigrati dall’estero da autorizzare, con decreto governativo, per il loro ingresso o permanenza in Italia rappresentano l’ammissione del fabbisogno di manodopera immigrata in alcuni settori del mercato del lavoro. Con il decreto flussi si fissano annualmente le “quote” di extracomunitari, che possono entrare in Italia per motivi di lavoro. I posti per il 2015 sono stati 17.850 e in gran parte destinati a chi è già in Italia con permessi di soggiorno di altro tipo (12.350, quasi il 70%).
5.500, invece, sono i nuovi ingressi di lavoratori immigrati provenienti dall’Estero: di questi 1.000 sono riservati ai lavoratori stranieri che abbiano completato un programma di formazione ed istruzione nei Paesi d’origine; altri 2.400 a lavoratori autonomi che intendono investire in Italia. Altri 2.000 ingressi riguardano quei Paesi partecipanti ad EXPO Milano 2015.
Gli immigrati extracomunitari, nella stragrande maggioranza dei casi, già si trovano in Italia, lavorano sottopagati, spesso in nero, e, se hanno la fortuna di trovare un datore di lavoro illuminato che li metta in regola con un contratto di lavoro regolare, si garantiscono la loro permanenza in Italia. Si parla infatti di conversione di permessi di soggiorno d’altro tipo in permessi di soggiorno per lavoro.

Barcone-migranti-300x214Altro equivoco: l’emigrazione attraverso i barconi sul canale di Sicilia non è l’unica forma di migrazione, ma è soltanto una goccia nell’oceano dei flussi migratori. La stragrande maggioranza dei migranti si muove via terra o giunge in Italia, attraverso altri canali, in alcuni casi perfettamente legali, con visto turistico o per ricongiungimento familiare. Certamente fa notizia e ha un effetto mediatico ben diverso documentare un barcone sovraccarico di persone sfidare le onde del Canale di Sicilia ed essere soccorso, quando tutto va bene, dalle navi della Marina in collaborazione con la Guardia di finanza.
Affidare la gestione del problema flusso migratorio nel Mediterraneo al solo stato membro dell’UE è un’altra aberrazione del sistema Europa, finora incapace di trovare soluzioni concertate a un problema che andrebbe gestito di comune accordo, meglio se in loco, ovvero nei paesi di origine e partenza dove attuare forme di collaborazione con i governi, se ne esistono di affidabili, per contrastare le organizzazioni criminali che organizzano le partenze o anche per allestire dei campi di identificazione: ciò servirebbe a verificare, caso per caso, se sussistono i requisiti per l’assistenza umanitaria o per il diritto di asilo.
L’Europa come corpo unico è stata finora incapace di trovare soluzioni efficaci delegando ai singoli stati membri la gestione del problema. E i risultati disastrosi, anche in termini di vite umane e di innocenti strappati alla vita, sono sotto gli occhi di tutti. Senza considerare il pernicioso contributo che l’Europa ha dato alla destabilizzazione di uno stato sovrano come la Libia, quando ha deciso, con la forza delle armi, di eliminare Gheddafi e la sua dinastia dal potere: tutto ciò ha avuto come conseguenza lotte tribali e governi deboli in Libia con cui è altamente problematico intavolare trattative. Primavera araba e altre trovate, come l’idea di esportare la democrazia in paesi dove non ci sono le precondizioni, hanno avuto come unica conseguenza quella di destabilizzare intere aree geografiche, oltre a facilitare, nel caso della Libia o dell’Iraq, l’allignare del terrorismo di matrice islamica.

Non c’è alcuna relazione tra i flussi di migranti sui barconi e terrorismo islamico: non c’è alcun riscontro di ciò, salvo la possibilità che alcuni traghettatori siano simpatizzanti jihadisti, come ribadito nel corso di un convegno a Sciacca dal magistrato Salvatore Vella. Un’organizzazione terroristica come l’ISIS – ha spiegato Vella – ha i mezzi economici per fare viaggiare in aereo o su una nave sicura un potenziale terrorista, piuttosto che rischiare di perderlo su un barcone fatiscente. E’ altamente illogico investire risorse e tempo per addestrare un terrorista e poi affidarlo alle sorti del mare. Destano molta più preoccupazione, dal punto di vista del terrorismo, i cittadini italiani convertiti all’Islam (nella sua forma intollerante ed estremista), che con la scusa del viaggio vanno ad addestrarsi nei campi dell’odio, piuttosto che famiglie, innocenti e persone in fuga dalla disperazione che viaggiano sui barconi.

Davide Cufalo

Davide Cufalo

Direttore responsabile di SicaniaNews. Ha collaborato con il Giornale di Sicilia, Momenti di vita locale, AgrigentoNotizie, Agrigentoweb e Palermo24h. Visita il suo Blog.

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