L’importanza di chiamarsi Massimo
Giugno è arrivato e non sembra ancora estate. Il mare che mi accompagna durante il mio viaggio non vuole saperne di diventare una tavola; quando va bene è soltanto un po’ increspato, ma spesso rumoreggia e si agita sferzato dal vento.
Il 4 giugno di 19 anni fa era già estate, tornavo dalla spiaggia quando appresi la notizia della morte di Massimo Troisi. Rimasi sorpresa e attonita, anche perché nulla sapevo dei problemi cardiaci che lo affliggevano sin dall’infanzia e che, nel 1976, lo avevano costretto a un delicato intervento chirurgico.
Lui era giovane – aveva soltanto 41 anni – ed era nel pieno del successo e della popolarità. Aveva appena finito di girare “Il postino”, il film che sarebbe diventato, in un certo senso, il suo testamento morale e la metafora (quanto significato assume la parola “metafora” nel film!) della sua esistenza.
Il postino Mario Ruoppolo muore giovane a causa del suo rosso cuore comunista, dopo aver conosciuto la vita e il mondo grazie anche all’amicizia con Pablo Neruda. L’artista Massimo Troisi muore giovane a causa del suo generoso cuore ballerino, dopo aver conosciuto la fama grazie anche alla sua genialità.
Inscindibilmente legate a quel film e a quella morte, ci sono alcune frasi che Troisi avrebbe pronunciato, e che sono diventate leggenda.
“Voglio fare questo film con il mio cuore” – avrebbe detto a chi gli suggeriva di effettuare un necessario intervento chirurgico prima di iniziare a girare.
E poi, alla fine delle riprese e poco prima di morire nel sonno, avrebbe salutato i compagni di lavoro con un profetico “Non dimenticatemi”.
Massimo Troisi è riuscito a capovolgere lo stereotipo del personaggio napoletano usando, per farlo, proprio la sua intensa napoletanità. Messo da parte il cliché dell’uomo del sud gradasso e traffichino – macchietta e caricatura di se stesso – ha messo in scena figure di uomini timidi, sfortunati e un po’ imbranati, come si immagina egli stesso fosse. Rappresentava la maschera triste del bravo comico, suscitando grande tenerezza con il suo sorriso disarmante, con la sua ironia mai volgare.
Io faccio parte di quelli che lo hanno amato e lo amano perché è stato un buon compagno di strada che, purtroppo, ha abbandonato il viaggio troppo presto; faccio parte di quelli che lo hanno vissuto un po’ come un amico del cuore o come un fratello, che riusciva a raccontare, con leggiadria ma non con leggerezza, sensazioni e vicende in modo che sembrava le stesse raccontando personalmente a ognuno di noi.
Massimo Troisi è uno dei pochi che, anche quando muoiono, non se ne vanno.
Resterà per sempre Massimo; non Ugo, ma neanche Massimiliano. Non tanto vicino da poterlo afferrare, ma neanche tanto lontano da sentirlo distante.
Massimo Troisi è uno dei pochi che lasciano una traccia. Oggi voglio trovare quella traccia in una poesia dedicata alla madre e che richiama molto quel Pasolini da lui tanto ammirato.
Io sciupai il tuo candido seno di giovane madre, di donna piacente
Rubai allo specchio la tua bellezza
E nelle tue mani sempre più vecchie, fotografie.
I discorsi di mio padre li ho imparati a memoria.
Fosse per lui crederei ancora ai libri di storia
Con te devo riincontrarmi in un fiume nero
E tra fiori e marmi ritorna il rimpianto.
La guerra ti tolse dalle labbra il sorriso
Io cancellai anche quel po’ di rossetto.
Ti vedevo gigante, poi un rivolo di saliva all’angolo della bocca.
E ti vidi bambina, ti vidi morire tra fiori e marmi
Tra un ricordo e un giorno nero
Torna e vive anche il rimpianto.”
Anna Burgio
Grazie per aver ricordato Massimo Troisi. Un uomo speciale, un artista con un’immensa genialità ma allo stesso tempo umile, nel senso che non si era mai montato la testa, mai atteggiato a divo o V.I.P. Mi piace tanto riguardare i tuoi incontri in tv con il tuo grande amico Pino Daniele.
Ci manchi Massimo, ci mancano i tuoi pensieri, la tua triste, brillante e ingenua ironia. Chissà cosa avresti detto di questa Italia odierna.
Ciao Massimo
Grazie a te, Lina. Le tue parole rappresentano sentimenti condivisi da me e, credo, da molti. Se i molti ci sono, vuol forse dire che una parte di Italia buona esiste ancora…
Ne sono certa Anna. Talmente certa che toglierei il ‘forse’.
Buon lavoro 🙂