“Un Giornalista deve essere obiettivo ed imparziale”: un mito da sfatare

4giornalismo_lavoriMi vien da sorridere quando qualcuno afferma: “un giornalista deve raccontare solo i fatti” oppure “un giornalista deve essere obiettivo”.  Bisogna a mio parere sgombrare il campo da questi preconcetti e dire le cose come stanno. Per correttamente interpretare il ruolo e il mestiere del giornalista, senza alimentare falsi miti sulla professione, bisogna partire dalla nostra tradizione filosofica occidentale e dal dibattito già affrontato in America o in Italia sul concetto di obiettività della notizia.

Si vedrà come, nella realtà, non esistono le notizie ma soltanto i fatti. E questi fatti c’è modo e modo di raccontarli: per prima cosa vengono selezionati alcuni fatti, tra i tanti possibili, dopo vengono raccontati dal giornalista, che non è un registratore meccanico, un computer, ma una persona normale che descrive la realtà dal suo particolare punto di vista. Un giornalista ha una personale cultura, appartiene ad un contesto, la redazione, ha dei valori e non può scrivere e parlare di nulla senza partire da una propria prospettiva.

eco umbIl “secondo me” è implicito nel parlare e scrivere di ognuno di noi, che lo si voglia ammettere oppure no. Sarebbe impossibile scrivere di un evento senza selezionarne quegli aspetti, a nostro parere, più significativi, pena l’incomprensibilità anche per chi ci legge. Si corre il rischio di volere dire tutto e non si dice niente. Il fatto non parla da sé, ha proprio bisogno di una chiave di lettura per trasformasi in notizia. Se il fatto parlasse da sé basterebbe registrarlo con una telecamera e il gioco è fatto. Ma la registrazione non è garanzia di migliore comprensione. Insomma non esistono fatti senza interpretazioni. Concorda su ciò anche Umberto Eco, quando scriveva: “Il mito dell’obiettività, con l’immagine correlativa del giornale indipendente, camuffa semplicemente la riconosciuta e fatale prospetticità di ogni notizia. Per il semplice fatto che scelgo di dire una cosa piuttosto che un’altra ho già interpretato”.

Il filosofo tedesco Martin Heidegger
Il filosofo tedesco Martin Heidegger

Qualunque soggetto è situato nel mondo, spiega il filosofo tedesco Heidegger, qundi un giornalista non è mai un “soggetto puro” perché non è mai uno spettatore disinteressato delle cose e dei significati: la nostra tonalità emotiva – o Befindlichkeit – gioia, paura, disinteresse o noia che sia, ci predispone ad osservare il mondo in un certo modo piuttosto che in un altro. E l’obiettività non è una cosa da cui partire, ma un punto cui si arriva, sempre provvisoriamente, seguendo un certo metodo, tramite per esempio una corretta selezione e confronto tra le diverse fonti interpellate. La chimera dell’obiettività resta pertanto annacquata dalla considerazione che il metodo, presunto obiettivo, è soltanto il frutto di un’operazione artificiale dell’uomo, fatta dall’uomo in vista di certi scopi precisi: l’obiettività resta qualcosa di tendenzioso, nel senso di mirato a certi scopi.
Alberto Papuzzi nel manuale Professione Giornalista chiarisce ciò: “La notizia non può essere obiettiva, perché nasce dalla capacità, dalla sensibilità, dalla valutazione dei fatti di un giornalista o di una redazione e richiede un’interpretazione dei fatti stessi, in funzione degli interessi di uno specifico pubblico”.
Altro aspetto da tenere in grande considerazione è il pubblico di riferimento di un giornale: per chi si scrive e cosa si aspetta di leggere chi ci legge? Anche il giornalista ha in mente un modello di lettore, come il buon politico sa di rivolgersi al proprio modello di elettore. Nulla di strano a mantenere un filo di comunicazione diretta col proprio lettore/elettore. Facciamo un esempio specifico per capirci meglio, mettendo da parte la teoria.

Una stessa battaglia, due diversi racconti: questo è un caso esemplare di come il pubblico dei lettori influenza il modo di narrare la notizia a partire dallo stesso avvenimento storico: la battaglia di Ia Drang, durante la guerra del Vietnam, nel novembre del 1965.
L’Associated Press aveva sul posto due corrispondenti: Peter Arnett, corrispondente di guerra in Vietnam dal 1962, e Hugh Mulligan, popolare scrittore di articoli di intrattenimento. Nel suo servizio, Arnett raccontò la battaglia di Ia Drang come una sconfitta umana e morale:

Nel Vietnam del Sud viene portata sulla linea del fuoco una nuova generazione di americani, i quali stanno scoprendo che la guerra non distingue fra chi uccide o chi lascia vivere, soprattutto è brutale come i libri di storia ci dicono siano state le altre. Per i soldati delle compagnie oggi impegnate a Ia Drang, alla fine della battaglia, non era il giubilo della vittoria a esaltarli, ma la consapevolezza di aver salvato la vita.
Spesso la guerra fa emergere il peggio della natura umana. Ho visto un soldato uccidere tutti i nemici che ancora si muovevano, mentre il suo reparto decimato controllava il campo di battaglia. Aveva sentito dire che tre prigionieri americani erano stati legati mani e piedi e con un proiettile in testa. Si stava vendicando. Ci vuole molta compassione per aiutare un nemico ferito dopo una furiosa battaglia e dopo Ia Drang di compassione non ne è rimasta molta.”

Hugh Mulligan raccontò il rientro di un reparto al campo base. Nella sua versione, la battaglia aveva trasformato i giovani soldati americani in “uomini fatti”. Il senso dell’evento si rispecchiava nelle parole di un ufficiale superiore che elogia la truppe per aver tenuto testa a nemici accaniti e capaci: “Gli avete inflitto una strigliata che non dimenticheranno mai. Il vostro paese è fiero di voi!”. Così si concludeva l’articolo:

Stasera si berrà, si riderà e si farà casino al 2° Battaglione: ci sarà anche qualche lacrima, lacrime per i compagni lasciati fra l’erba elegante nella valle di Ia Drang, lacrime per i camerati racchiusi nei sacchi di gomma e già in viaggio sul lungo tragitto fino agli Stati Uniti.”

Come si può evincere da questi esempi, da una stessa battaglia sono derivati due diversi racconti fatti da due diversi giornalisti.
Se non proprio l’obiettività assoluta, che non esiste di fatto, cosa si può chiedere allora al giornalista?
Gli si può chiedere semplicemente che le notizie tendano ad essere il più possibile obiettive, nel senso di rispettare, nella ricerca delle informazioni, nel rapporto con le fonti, nel racconto dei fatti, un certo metodo basato sui criteri di accuratezza e completezza. Si tratta di trovare, conclude Papuzzi, un non facile punto di equilibrio tra la soggettività del giornalista e una correttezza metodologica che salvaguardi il diritto del lettore a formarsi un’opinione.

Davide Cufalo

Davide Cufalo

Direttore responsabile di SicaniaNews. Ha collaborato con il Giornale di Sicilia, Momenti di vita locale, AgrigentoNotizie, Agrigentoweb e Palermo24h. Visita il suo Blog.

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