1° Maggio festa dei lavoratori. Le vittime silenti

Eccoci qua. Ancora una volta è il primo maggio, ancora una volta la festa dei lavoratori. Soltanto che ogni anno, ormai, è sempre un po’ peggio.
Sarebbe troppo lungo, qui, ricordare la storia del giorno, della commemorazione e della festa. È forse il caso di fare un unico accenno, a quel primo maggio del 1947, quando la banda di Salvatore Giuliano sparò sulla folla dei lavoratori raccolti a Portella della Ginestra. Preferisco ricordare qui quel solo episodio, forse perché è più vicino a noi siciliani, forse perché mi sembra esemplificativo dell’usurpazione di un momento che meriterebbe il rispetto che va di diritto alle cose sacre.
Ancora una volta, oggi, è il primo maggio.
Di che cosa dovremmo parlare? Dei tanti che non hanno un lavoro, e ancora dei tanti che ogni giorno un lavoro lo perdono. Potremmo parlare di cosa significa, oggi, diventare “nuovi poveri”, perché si è perso di fatto il diritto elementare alla fonte di sostentamento.
Colpa della crisi.
Sembrerà magari impopolare, ma oggi vorrei parlare anche di altro.
Vorrei parlare di quanti il lavoro ce l’hanno ancora, ma sono ugualmente vittime della crisi. Sono quelli che io definisco vittime silenti della crisi; sono quelli che giorno dopo giorno perdono diritti senza l’opportunità di potersi difendere e ribellare, perché vengono definiti privilegiati. Ma può considerarsi un privilegio uno dei diritti fondamentali della nostra costituzione, uno dei capisaldi della nostra Repubblica?
Non può considerarsi un privilegiato chi ogni giorno vive il ricatto di un licenziamento in nome di una crisi che determina una lotta tra poveri, una lotta tra chi ha un lavoro e deve tenerselo stretto e chi un lavoro lo cerca e per averlo è disposto a qualsiasi condizione.
C’è chi si sente ripetere: “se non ti sta bene te ne puoi andare, ce ne sono altri cento pronti a prendere il tuo posto”, c’è chi deve subire vessazioni, chi deve abbassare la testa pur sapendo di avere ragione, chi deve ingoiare rospi amari per lavorare tanto ed essere pagato poco.
Forse un giorno questa crisi passerà, ma lascerà sul tappeto quei diritti fondamentali che a poco a poco si sono persi sia nel lavoro privato che in quello pubblico: crisi significa assenza di nuove assunzioni con aumento del carico di lavoro, blocco dei contratti e perdita del potere d’acquisto di stipendi e salari, fine della contrattazione collettiva e, di conseguenza, sempre minore possibilità dei lavoratori di incidere sull’organizzazione del lavoro.
Ma crisi oggi significa anche altro: accade che significhi per datori di lavoro, dirigenti e funzionari un’interpretazione personale dello stato delle cose, con conseguente convincimento di potere decidere anche sulla vita dei lavoratori senza tenere conto di norme e di regole, appellandosi a un concetto, a volte distorto, di efficienza.
Se la festa dei lavoratori è anche un momento di riflessione, bisogna oggi riflettere sul concetto di lavoro e di lavoratori mettendo al centro il lavoratore–uomo, piuttosto che su un concetto astratto di lavoro che vede il lavoratore solo come uno dei costi di produzione di beni che bisogna vendere all’uomo–consumatore.

Anna Burgio

2 Commenti

  1. Come diceva qualcuno “l’alternativa nella cultura non è solo ideologia, l’alternativa è organizzazione” fino a quando si agirà da singoli sono certo che potremmo anche avere delle vittorie, credo però che serva reinventarsi, nell’epoca della dislocazione del lavoro e della precarietà come strumento per fare abbassare la testa, nuove forme di aggregazione e discussione partendo anche dalle richieste essenziali del primo maggio: otto ore di lavoro, otto di svago e otto di riposo; ecco questi dovrebbero essere diritti irrinunciabili, io sono il meno adatto a parlarne, vorrei solo spingere alla riflessione perché “lavorare meno, lavorare tutti” non è fantascienza ma scienza dimostrata e applicabile.

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