Il futuro dell’euro – e per esteso del processo d’integrazione europea – ci riguarda tutti: riguarda anche i riberesi. Questi ultimi lo sanno? Speriamo di sì! E allora cerchiamo di aprire su queste pagine un dibattito.
Mettiamo il caso che nei prossimi mesi, di fronte al disastro delle finanze pubbliche italiane, greche e spagnole, i tedeschi si stufino e decidano di sbarazzarsi della moneta unica e di mandare all’aria l’edificio dell’integrazione europea, che bene o male ha ormai alle spalle una storia lunga circa sessant’anni. Sarebbero i riberesi contenti? E cosa direbbero? Che è colpa della “cattiva” Germania o della “dissennata” Italia?
Facciamo qualche riflessione. I tedeschi vivono in una nazione che è un giardino, tutta verde e pulita. Le loro grandi e picco le città sono efficientissime, con un sistema di trasporti pubblici che è a dir poco “esagerato”. Hanno fatto le loro riforme, hanno un’industria potente, tanto è vero che i prodotti made in Germany sono conosciuti, apprezzati e comprati in tutto il mondo (pensiamo solo alle automobili). Hanno una classe politica generalmente onesta e che lavora per il popolo, come dei veri civil servant. La disoccupazione, soprattutto giovanile, è ai minimi termini. Il loro debito pubblico è sostenibile. E’ giusto ed è logico, dal loro punto di vista, che la Germania possa giovarsi di una moneta forte, come era il vecchio marco, che metta la sicuro la nazione da inflazione e speculazione senza freni.
Ora, diamo invece uno sguardo all’Italia, e se possibile anche alla realtà fornita da Ribera, che è poi lo specchio della più ampia realtà nazionale. Il paesaggio è soffocato dalla monnezza, prodotta e sparsa da cittadini che evidentemente odiano la loro terra. Il debito pubblico italiano è alle stelle, essendo il prodotto di pratiche clientelari che si protraggono da decenni. Ognuno, dal primo all’ultimo cittadino, ha del resto pensato a trarre risorse dallo Stato, fregandosene se poi ciò significava portare il debito nazionale alla favolosa cifra (udite, udite!) di oltre 2.000 miliardi di euro. Una classe politica che si è sviluppata a dismisura come un cancro ha ingrossato sempre più le sue clientele, dove impera la mediocrità e la stagnazione. D’altronde, si sa, il mediocre punta a perpetuare la mediocrità per autosostenersi e autoalimentarsi. I servizi pubblici sono in questa nazione una chimera: prendiamo ad esempio il caso che un riberese voglia muoversi e andare a lavorare con il treno in una città vicina: come fa?
Il nostro ministro del Lavoro, Elsa Fornero, ci ha proprio in queste ore avvertito che l’industria nazionale non esiste praticamente più. La disoccupazione giovanile è alle stelle. Gli italiani, pur proclamandosi un popolo di cattolici (paradosso del paradosso) non fanno più figli: il che vuol dire che i giovani non si sposano, non si formano famiglie, i consumi così ristagnano e di conseguenza tutta l’economia. Le riforme non si possono fare perché poi praticamente tutti le ostacolano temendo che possano toccare il proprio particulare: il proprio piccolo interesse personale.
Se a questo punto l’euro fallirà, di chi sarà la colpa: dei tedeschi o degli italiani?
Lettera inviata al giornale di GianPaolo Ferraioli