Ancora sul piccolo ponte “offeso dal fatto che nessuno, negli anni, si è preso cura di me”.

Ancora sul piccolo ponte

il piccolo ponteOggi mi sento un po’ visionaria. Sarà che mi sono svegliata alle cinque, sarà che adesso sono le sei e mi trovo già in viaggio.
Cerco il lato positivo delle cose. Devo partire all’alba per arrivare al lavoro alle otto, ma – vuoi mettere? – vedere il giorno farsi pieno lungo la tua strada è un’esperienza unica, straordinaria. Il tempo è buono e il traffico scarso, a quest’ora. Affronto l’inseguirsi delle curve lentamente e con animo sereno. Niente ansia, stamattina, sono riuscita a sbrigarmi presto, una volta tanto ce la farò ad arrivare puntuale. Se questa fosse una gita di piacere, il paesaggio intorno sarebbe affascinante.
Va tutto bene, mi ripeto. E intanto mi fermo a un semaforo, cresciuto come un albero tra le colline della nostra bella Sicilia, che impone il senso unico alternato per via delle curve esageratamente strette, per evitare incontri pericolosamente ravvicinati tra i mezzi che di lì transitano, e che sono diventati davvero tanti, troppi, per quelle strade.
Ma la giornata è bella, e va tutto bene.
Allora mi invento il gioco delle parti, mi diverto a giocare da sola allo scambio dei ruoli. Per fortuna, la nostra fantasia e la nostra immaginazione sono cose delle quali nessuno ci può privare.
Ecco quindi che divento quel camionista che mi ritrovo adesso davanti. Mi costringe ad avanzare di seconda, a venti chilometri all’ora, ma in questo momento io sono lui, non me. Sono io, che mi sono messo in viaggio alle due di notte, sono partito da Trapani e devo arrivare a Ragusa. Se so bestemmiare, forse sto bestemmiando.
Volgo lo sguardo di lato e divento la pianta di disa che adorna le brulle colline. Sono io, che, lasciata seccare, venivo poi bagnata e intrecciata per diventare legame, per tenere stretto il covone di grano; sono io, semplice e utile al contadino.
Appunto, divento adesso il contadino, quello che è rimasto bloccato nell’orto, di qua dal ponte, e guarda da lontano sua moglie sulla porta di casa, dall’altro lato. Quello che provo è amarezza, perché avevo davvero creduto che il mio piccolo ponte sarebbe stato ricostruito in fretta, e davvero avrei potuto riprendere la vita di sempre, fatta di famiglia e lavoro.
E ora sono la moglie del contadino, rimasta sola, di là dal ponte, a occuparsi della casa e della famiglia. Quello che provo è stanchezza, mio marito mi manca, non so quanto a lungo potrò continuare così.
Poi sono il fiume, quello che scorre sotto il piccolo ponte. Non voglio saperne di stare dove provano a deviarmi, la pioggia mi aiuta in questa mia ribellione.
Infine, io sono il piccolo ponte. Offeso dal fatto che nessuno, negli anni, si è preso cura di me, subisco adesso l’onta di restare così, monco, inservibile, senza più ragione né scopo.
È ora di tornare me stessa. Un’ora è passata, la deviazione è finita. Il viaggio può riprendere nella dimensione della realtà, sul più ragionevole scorrimento veloce.
Arriverò in orario al lavoro, oggi. Avrò parecchio da lavorare, e arriverò già stanca. Ma che importa?
Oggi mi sento visionaria.

Anna Burgio

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