Enzo Jannacci metteva il cuore in quello che faceva.

QUESTIONE DI CUORE

enzo jannacciQualche settimana fa ho ricordato in questo spazio Antonio Tabucchi. Apprestandomi a scrivere queste nuove righe, ho pensato che a un personaggio di Tabucchi rischio adesso di somigliare. Mi riferisco a Francesco Monteiro Rossi, coprotagonista del romanzo “Sostiene Pereira”, che viene assunto nella redazione di un giornale con il compito di scrivere necrologi anticipati su personaggi illustri.
Ecco, non si tratta di necrologi e non sono di certo anticipati, ma da qualche tempo mi ritrovo a scrivere in occasione di morti – o di celebrazioni di anniversari – di personaggi che ho amato.
Per tale motivo ero incerta se scrivere o no queste parole su Enzo Jannacci.
“Allora non lo fare”, mi ha consigliato una cara amica.
“Però è un pezzo della nostra storia che se ne va” ho risposto a lei e a me stessa.
È questione di cuore, per più di un motivo.
È questione di cuore perché Jannacci era un cardiologo, e non ha mai voluto lasciare il suo lavoro. Medico di giorno e cantautore di sera, scrivono adesso in tanti.
Il cuore lo curava, ma anche lo metteva nelle cose che faceva. Nelle sue molteplici attività, tutte caratterizzate da estro originale e fuori dagli schemi, metteva il cuore perché niente era scontato, niente era privo di un significato profondo. Non per nulla viene definito “il cantore degli ultimi”, perché ha saputo affrontare temi anche scabrosi e personaggi scomodi, per l’Italia un po’ bacchettona di qualche anno fa, senza mai scendere nello sterile sentimentalismo, rivestendo anzi ogni cosa di quella vena ironica che lo ha sempre contraddistinto.
È questione di cuore, perché con il cuore lo hanno seguito i suoi ammiratori, apprezzando la sua schiettezza, la sua lucidità e la sua capacità di togliere ogni fronzolo alle cose e alle idee.

Non appena ho saputo della sua morte, sono andata a risentire “Vincenzina e la fabbrica”, la canzone che preferisco e che in realtà di ironia ne ha ben poca; è un testo intenso e struggente, in cui la condizione da “Romanzo popolare”, film di Mario Monicelli a cui ha fatto da colonna sonora, si può anche toccare e annusare, ed esserci immersi dentro, partecipi di un mondo fatto di fatica e di grigiori di periferia che, se non è il nostro, potrebbe essere il nostro.
Ci sono tanti modi per fare poesia, quello di Jannacci è un modo che spesso mi ha toccato il cuore.

È dunque questione di cuore anche per me, che ho deciso di ricordarlo qui dopo qualche titubanza; perché – è un’origine etimologica che mi piace spesso ripetere – ri-cor-dare significa riportare al cuore.

Anna Burgio

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