Il giunco mormorante

il giunco mormoranteHo un’amica carissima che è per me una quarta sorella. È un’amica che mi fa spesso doni preziosi; anzi, mi dona sempre qualcosa, anche quando semplicemente mi parla, anche quando mi ascolta in silenzio perché sa che ho bisogno di essere ascoltata.
È lei stessa un dono.
Tempo fa mi ha regalato un libro di un’autrice che sconoscevo. Si tratta di Nina Berbenova, scrittrice e poetessa russa vissuta dal 1901 al 1993.
Lasciata la Russia nel 1922, Berbenova si stabilì a Parigi dove rimase fino al 1950, anno in cui si trasferì negli Stati Uniti d’America.
Su di lei aleggia l’accusa di filonazismo e antisemitismo, perché – si dice – non aiutò gli ebrei parigini durante l’invasione tedesca.
A leggere il libro regalatomi dalla mia amica, però, quest’accusa sembra inverosimile. Troppa bellezza, troppo senso di libertà, troppo respiro profondo e alto, talmente “troppo” da non avere nulla in comune con imputazioni tanto disonorevoli.

Il libro si intitola “Il giunco mormorante”: è un agevole scritto di ottanta pagine, pubblicato per la prima volta nel 1958 in lingua russa ed edito in Italia da Adelphi.
Lo stile è lineare e asciutto, i concetti contenuti sono profondi.
Il libro narra di un amore sospeso nella Parigi del 1939, e inizia proprio nel momento in cui i due amanti si separano, perché lui torna a casa, nella neutrale Svezia. Si incontreranno di nuovo dopo sette anni, quando lei, per una circostanza che ha il sapore di una scusa, si recherà a Stoccolma. Tuttavia ormai tutto è cambiato, perché l’uomo che a Parigi aveva fatto parte dell’amore sospeso ha adesso una vita comune, inquadrata e imbrigliata, ha unicamente una vita visibile. La storia d’amore nata a Parigi, invece, aveva fatto parte della “no man’s land”, della “terra di nessuno”.

Fin dai primi anni della mia giovinezza pensavo che ognuno di noi ha la propria no man’s land, in cui è totale padrone di se stesso. C’è una vita a tutti visibile, e ce n’è un’altra che appartiene solo a noi, di cui nessuno sa nulla. Ciò non significa affatto che, dal punto di vista dell’etica, una sia morale e l’altra immorale, o dal punto di vista della polizia, l’una lecita e l’altra illecita. Semplicemente, l’uomo di tanto in tanto sfugge a qualsiasi controllo, vive nella libertà e nel mistero, da solo o in compagnia di qualcuno, anche soltanto un’ora al giorno, o una sera alla settimana, un giorno al mese … Queste ore possono aggiungere qualcosa alla vita visibile dell’uomo oppure avere un loro significato del tutto autonomo; possono essere felicità, necessità, abitudine ma sono comunque sempre indispensabili per raddrizzare la “linea generale” dell’esistenza. Se un uomo non usufruisce di questo suo diritto o ne viene privato da circostanze esterne, un bel giorno scoprirà con stupore che nella vita non si è mai incontrato con se stesso, e c’è qualcosa di malinconico in questo pensiero. Mi fanno pena le persone che sono sole unicamente nella stanza da bagno, e in nessun altro tempo e luogo”.

Ritengo che una no man’s land, una terra di nessuno sia indispensabile per chi ha bisogno di ritrovare se stesso, per poter meglio incontrare gli altri.
La mia amica, la mia adorata amica ha tutto il mio bene incondizionato anche per questo. Il nostro incontro ha avuto luogo in una no man’s land: è il posto in cui ci ritroviamo al di fuori da ogni condizionamento e da ogni pregiudizio; è il posto in cui io posso essere me stessa, con le mie debolezze, con le mie miserie, con le mie perplessità, senza alcuna paura del giudizio o delle convenzioni.
In questo luogo straordinario il nostro rapporto continua a vivere, nonostante il tempo e la distanza.
Mi auguro e credo che sia per sempre.

Anna Burgio

1 Commento

Lascia un commento

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.