Il micro, il macro e le questioni importanti – di Anna Burgio

Ho cambiato lavoro, cambiando con esso posto e mansione. Il luogo è diverso, ma il viaggio è pressoché identico: stessa strada davanti, stesso mare a fianco, stessi pensieri durante.
Il cambiamento non è mai indolore, neanche quando è voluto e anelato. Cambiare vuol dire – vuoi o non vuoi – andare incontro al futuro, ma vuol dire anche lasciarsi alle spalle – nell’insieme di tutte le cose che costituiscono un passato – anche una parte che, magari, si avrebbe avuto piacere di non lasciare.

Viaggio e medito sul cambiamento, su quante sfaccettature può avere, su quante e quali conseguenze. Le variabili che determinano il cambiamento ne stabiliscono anche la direzione e il destino, soprattutto se a decidere quando e come cambiare non siamo soltanto noi.
Sarà anche scontato e retorico dirlo, ma il cambiamento che investe un profugo costretto ad abbandonare la propria terra non è esattamente uguale a quello di un manager che fa carriera. E sarà scontato e retorico, ma il piccolo – e nonostante tutto significativo – cambiamento nella mia vita non è esattamente uguale a quello di chi da un giorno all’altro si ritrova senza lavoro e senza reddito. E sicuramente non è paragonabile al cambiamento che può mettere in atto (oppure no) un intero Paese.

In questi giorni di grande marasma politico ho smesso di ascoltare cd musicali, in macchina. Alla ricerca insistente di giornali radio e dibattiti, sono ovviamente ansiosa di sapere, da cittadina italiana, come andrà a finire. Sono, tuttavia, anche curiosa di capire come davvero funzionano le relazioni umane, quali possono essere le storture della comunicazione.
Sciascia sosteneva – o almeno così mi sembra di ricordare – che da un’attenta osservazione del microcosmo si possono trarre considerazioni generali sul macrocosmo; concetto che mio marito, inesauribile fonte di saggi proverbi siciliani, traduce così:

Ci dissi lu gaddu a la puddastra: tuttu lu munnu è comu casa nostra”.

E dunque dal microcosmo di cui faccio parte, dalle persone che mi accade di incontrare, come anche da me stessa, traggo spunti di riflessione generale. Poi allargo lo sguardo alla ricerca di conferme. Osservo e ascolto ciò che accade in questi giorni in Italia, meccanismi incancreniti che hanno spesso alla base un’ipocrisia ormai sfacciata, il tentativo di far passare per politica qualcosa che politica non è più, uno scollamento disarmante tra i discorsi dei palazzi e la vita delle persone.
E allora per una volta mi rifiuto di seguire Sciascia; perché, riportando lo sguardo al mio microcosmo, quello che trovo è anche, unitamente a tutto il resto, un insieme di rapporti umani che scaldano il cuore. Conosco persone di ogni specie e animate da ogni tipo di intenzione. Conosco arrampicatori, opportunisti, traffichini, incapaci di lealtà e di correttezza; ma conosco anche persone schiette, sincere, dall’animo puro e dalla mente serena. Mentre ascolto la radio, quando torno nel macrocosmo di cui, ahimè, faccio parte, fatico davvero tanto a credere che questa seconda tipologia di esseri umani esista e possa essere incisiva. E mi sento depredata non solo della fiducia, ma anche dello stesso desiderio di essere fiduciosa.

Continuano a ronzarmi nelle orecchie parole che dicono di larghe intese, di retroattività di leggi, di strategie politiche, di falchi e di colombe, di accuse reciproche e strumentali. Sono discorsi che rischiano di sommergere e anestetizzare altre immagini e altre parole: quelle di tredici morti sulla bella spiaggia di Scicli, o quelle di un barcone in fiamme a Lampedusa e di decine di persone che cercavano un cambiamento vero, e che non potranno averlo mai più.
Sono notizie date en passant, che interrompono con soltanto un attimo di dovuto cordoglio la carrellata di discorsi sul nulla.
Ho provato rabbia per come andavano le cose nel mio microcosmo, per tante piccole ingiustizie subite, per mesi e anni. Continuo a provare rabbia e indignazione per ciò che accade nel sistema sociale in cui vivo.
Non voglio lasciami anestetizzare, non voglio chiudere gli occhi davanti a chi è arrivato alla fame, davanti all’operaio senza salario che solo per puro caso non sono io, davanti ai morti che popolano il mio Mediterraneo. Non voglio chiudere gli occhi. Non voglio dimenticare quali sono le questioni importanti.
E voglio poter continuare ad avere fiducia.

Anna Burgio

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