Dopo il viaggio, l’approdo. Il primo dei tre previsti da “Approdi culturali a Torre Salsa – conversazioni e oltre” è stato un approdo felice, fatto di emozioni, di sguardi lanciati verso il mare, di parole vibranti, di musiche trascinanti, di opere d’arte coinvolgenti. È stato un approdo fatto di persone e di incontri. L’ospitalità di Antonella Barone, padrona di casa e ideatrice dell’installazione “Il Buddha che guarda il mare”, ha costituito la base per un approdo fortunato, una volta tanto.
Il primo gesto è stato il tocco d’arte inaugurale da parte di Mariella Lo Bello, Assessore Regionale al Territorio e Ambiente, su una tela rimasta immacolata per poco: tutti gli intervenuti hanno lasciato un segno del loro arrivo, prima di ascoltare la brava Daniela Gambino che coordinava, affrontando il tema della diversità, ospiti di indubbio spessore: da Giacomo Pilati a Roberto Rapisarda, da Evelina Maffey a Donato Notonica, a Gaetano Aronica e alla sua interpretazione di alcuni brani de “Il mare colore del vino” di Leonardo Sciascia, che più che una lettura è risultata essere un incanto.
L’incanto, la sera del 18 agosto è sbarcato a Torre Salsa.
Un incanto è stato la performance di Salvino Marrali: anche qui una tela bianca, sullo sfondo buio del nostro cielo e del nostro mare, anche qui un’opera nata attraverso la magia dei colori, anche qui – tutt’attorno – il respiro di tantissime persone che creavano un silenzio assorto e attento, interrotto soltanto dalle percussioni e dal flauto.
Un incanto è stato la musica di Piera Lo Leggio e del suo gruppo: i due bravissimi chitarristi Domenico Termini e Marco Abbruscato e il coinvolgente Salvatore Burgio, straordinaria espressione artistica della fisicità e del corpo, oltre che della voce. Suggestioni di antica memoria, profumi di siminzina e di basilicò, storie di uomini e donne che hanno fatto la nostra quotidiana, antica vita, si sono mescolati a nuove sperimentazioni, alle parole dei testi di Peppe Zambito – poliedrico direttore artistico della manifestazione – musicate e cantate dalla voce roca di Piera e da quella intensa di Salvatore.
A fare da contorno, sullo sfondo della roccia viva delle stanze, le opere di pittori e scultori che tengono alto il senso e il livello dell’arte della nostra terra: le foto di Salvatore Bongiorno, le “carte” di Rosario Bruno, i dipinti di Sergio Amato, Dimitri Agnello, Carmen Bonomo, Vincenzo Patti, Alfonso Rizzo, Nicolò Rizzo, Giuseppe Sinaguglia e Simone Stuto, le sculture di Salvatore Rizzuti, Giuseppe Agnello, Gero Canalella.
Fino a qui il resoconto della serata, conclusasi con la degustazione di pietanze e vini tipici del territorio.
Dopo di qui, cominciano le mie riflessioni personali.
A fine serata, alcuni di noi che avevamo organizzato ci siamo ritrovati seduti fuori, nel luogo magico che ci ha fatto da casa in questi giorni di allestimento e di preparativi.
Durante l’evento, ho più volte guardato giù verso il mare e la spiaggia, popolata di bagnanti in cerca di luoghi incontaminati. Durante l’evento, ho più volte guardato verso il mare e l’orizzonte, immaginando persone strette sui barconi, persone in viaggio, persone in cerca di approdi. Ho immaginato, perché non sapevo che, durante quelle stesse ore, un viaggio c’era davvero, un nuovo approdo stava per verificarsi, a Torre Salsa.
Immaginando, mi sono chiesta se veramente poteva servire a qualcosa quello che stava facendo, se veramente aveva un senso. Cosa poteva importare di quello che stavamo facendo, ai migranti in viaggio?
A fine serata, quando quasi tutti se n’erano andati, quando ci siamo ritrovati seduti fuori, tra le mani un bicchiere e nello sguardo la stanchezza e la gioia, ho avuto la conferma di quale fosse il senso. Guardando uno a uno i miei compagni di “squadra”, ascoltando le loro parole e le mie, le nostre risate liberatorie, ripensando ai commenti positivi dei tanti che avevano scelto di affrontare una strada non propriamente agevole per raggiungere il luogo in cui passare una serata diversa, ho capito che il senso – a volte – è molto più semplice e immediato di quanto possiamo immaginare. Basterebbe, forse, trasformare la Cultura nelle culture, in quelle che sono fatte anche di una chiacchiera con un piatto e un bicchiere in mano, di una conversazione che potrebbe apparire quasi frivola ma lascia il segno, di una rappresentazione artistica – di qualsiasi arte, con qualsiasi mezzo – che colpisce al cuore, di un commento che sembra buttato lì ma invece germina e fiorisce; basterebbe capire che lasciarsi contaminare da altre culture non costituisce minaccia, ma nuova conoscenza.
Non credo affatto che siamo riusciti a fare qualcosa di concreto per i migranti che sono approdati nella notte tra il 18 e il 19 agosto a Torre Salsa, così come non credo abbiamo fatto qualcosa di concreto per i migranti del mondo. Credo soltanto che abbiamo fatto qualcosa, semplicemente quello che sappiamo fare, perché tra di noi – prima di tutto tra di noi – la parola “migrante” possa assumere un sapore più dolce e un’accezione meno negativa. E nutriamo la speranza che non esista più la parola “clandestino”.
Se siamo tutti migranti, nessuno dovrebbe essere clandestino.
Quel “Buddha che guarda il mare”, che guarda il nostro Mediterraneo, rappresenta la speranza che la “Cultura” possa diventare “culture” che non si temano, che sappiano incontrarsi e anche abbracciarsi.
Anna Burgio
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