She, Janis.

She, Janis

Janis Joplin
Janis Joplin

In ricordo del settantesimo anniversario dalla nascita – avvenuta a Port Arthur, Texas, il 19 gennaio 1943 – ascolto in macchina la voce roca di Janis Joplin.
Ho sentito Summertime intepretata da fior fiore di artisti, suonata da Miles Davis o da Chet Baker, cantata da Ella Filtzgerald o da Billie Holiday, che pure adoro.
Eppure nessuno ha saputo mettere l’anima in quel brano quanto Janis Joplin. Janis metteva l’anima in tutto ciò che interpretava. La sua voce apriva ferite nell’anima degli altri, la sua voce era essa stessa ferita.
Quella voce è il graffio di unghie affilate che lacerano e dicono di dolore, tutto il dolore del blues.
Girovagando su Internet, mi è capitato di vedere delle sue foto da adolescente. Ha la faccia pulita di brava ragazza, tipica figlia di tradizionale famiglia americana. Le sue scelte, tuttavia, l’avrebbero portata da un’altra parte, avrebbero scritto un’altra storia, quella di una piccola, fragile e ribelle donna che amava cantare con la voce delle imponenti donne nere. La sua storia, breve e tormentata – sarebbe stata costellata di amori di una notte sola contrapposti al sogno di un compagno e di una famiglia; di fasi alterne tra abusi di droga e alcool e speranzose disintossicazioni. Fino all’overdose del 4 ottobre 1970, che provocò la sua morte nella stanza di un motel.

Voi giornalisti mi chiedete sempre se io morirò giovane e in modo tragico come le blue singers delle vecchie generazioni. Credo proprio che sarà così.”

A leggere queste parole viene da chiedersi quanto ognuno di noi sia artefice della propria storia, quanto le scelte della nostra esistenza siano condizionate dall’idea che di noi stessi abbiamo. Se rispettiamo l’immagine di un personaggio i cui vestiti crediamo di indossare, ci incammineremo forse – chi di corsa, chi trascinandosi – verso la conclusione che di quel personaggio fantastichiamo; può essere il successo, può essere la serenità agognata, può essere il grigio fumo di giorni anonimi, può essere una fine tragica. È profezia che si autoadempie, è schema, è compimento di un destino che a volte abbiamo scelto e spesso consideriamo ineluttabile.
Forse è stato per l’autoadempimento di una profezia che Janis è entrata di buon diritto nella maledizione del J27, leggenda metropolitana che accomuna artisti il cui nome inizia per J e morti all’età di 27 anni.
Jenis Joplin, morta giovane e in modo tragico, come se non potesse essere altrimenti.

Lo stereo dell’automobile continua a riprodurre i brani: Cry Baby, Flower in the sun, Piece of my heart, The rose.
La sua voce graffia anche me, in una comune, fredda e limpida mattina di gennaio.
Sono stufa e stanca di questo nome; chiamatemi Pearl” fu una delle sue ultime dichiarazioni.
Buon compleanno, piccola Pearl.

Anna Burgio

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