Treccia nera, pelle bianca.

TRECCIA NERA, PELLE BIANCA

Viviamo una primavera instabile, che si annuncia e si ritrae, che ci fa intravedere promesse e sognare speranze di tempo buono, e poi ci regala giornate grigie, cieli oscuri, improvvise gocce di pioggia.
È un po’ la metafora dell’epoca che stiamo vivendo, del resto.
modigliani - ragazza con le trecceIl tempo instabile mi rende malinconica e la malinconia mi induce, spesso, a volgere lo sguardo verso il passato. Accade allora che, mentre gli occhi vagano tra la strada che ho davanti e il mare che mi rumoreggia accanto, il pensiero ritorni a figure apparentemente di secondaria importanza; sono immagini, ora sfocate ora nitide, di personaggi e persone che magari hanno attraversato la mia vita solo per poco tempo, quasi lo spazio di un attimo, eppure hanno lasciato un impronta.

Lei, per esempio.
Lei aveva una lunga treccia nera. La portava in avanti, a cingerle collo e spalla, ogni tanto giocherellava con le brevi punte dei capelli liberi dall’elastico finale. Aveva la pelle chiara, resa ancora più bianca dalla bianca camicia da notte.
Sull’apertura di quella camicia candida, su quel candido collo, una bolla prominente sporgeva.
Un bozzo.
Un gozzo.
Camminava per i corridoi del reparto d’ospedale con passo lieve, quasi sospeso a mezz’aria. Sembrava poggiare i piedi a tempo di danza. Sorrideva spesso. E spesso cantava:

Troppo giovane son io, ed il nero è un triste colore
la mia pelle bianca e profumata ha bisogno di carezze ancora
ha bisogno di carezze ora”.

La canzone – “Pescatore”, interpretata da Pierangelo Bertoli e Fiorella Mannoia – era uscita da qualche mese, da qualche mese lei era vedova; aveva vent’anni ed era vedova. Lei e la sua treccia nera erano in attesa di un intervento alla tiroide per gettare via quel gozzo, quel bozzo.
Sorrideva.
Camminava per i corridoi del reparto d’ospedale a passo di danza. Un osservatore approssimativo e disattento avrebbe detto che si trattava di una sempliciotta, di una superficiale che non aveva dato il giusto peso alla morte del marito. E tuttavia c’erano dei segnali che indicavano, a chi era disposto a vederli, la complessità del mondo interiore di quella ragazza. C’erano attimi di silenzio improvviso, c’erano sguardi persi nel vuoto, c’erano, infine, le parole di quella canzone.

Troppo giovane son io, ed il nero è un triste colore…”

Da allora non riesco più ad ascoltare “Pescatore” senza pensare a lei. Io ero una ragazzina un po’ ottusa, capivo ben poco della vita. Lei non era molto più grande di me, ma avrebbe potuto farmi da madre per la sua saggezza e per il suo sguardo fiero, adesso lo capisco.
Lei non era più molto più grande di me, ma aveva già sofferto e aveva già imparato a guardare la sofferenza negli occhi.

Non ricordo come si chiamasse. Non so che fine abbia fatto, se sorride ancora, se qualcos’altro – di ancora più terribile della sua solitudine di giovane sposa – l’abbia fatta desistere dal sorridere.
E tuttavia quel sorriso non dimentico, come se fosse la bandiera delle donne e degli uomini che non perdono il vizio di guardare avanti, sempre, nonostante tutto.

Anna Burgio

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