Solita strada, solito viaggio. Come sempre, come ogni anno, questo è un settembre tranquillo, che ci concede giornate dal clima mite: non più il respiro ucciso da ondate di afa, non ancora vento e pioggia. La strada da percorrere sembra quasi bellissima, in queste giornate. È mattina presto. Il piccolo ponte crollato e in qualche modo risanato si attraversa di nuovo. Un altro ponte – in piedi, ma con i guard rail che hanno la stessa resistenza del fil di ferro – è stato transennato ai due lati e un semaforo regola il senso unico alternato. Però è mattina presto, c’è ancora poca gente in giro, l’attesa non è lunga.
Sono buone giornate per mettersi in viaggio. La guida è rilassata, anche per me che non amo guidare, ed è piacevole girare lo sguardo intorno.
Sopra di me ci sono le nuvole dense, quelle bianche nuvole buone che disegnano affascinanti arabeschi nell’azzurro del cielo. Mi fanno pensare allo zucchero filato. E immediatamente, da lì, il pensiero va ai bambini, e quindi a Teresa.
La bambina Teresa aveva corteggiato per lungo tempo con lo sguardo lo zucchero filato, prima di riuscire ad assaggiarlo. Suo padre pensava che fossero soldi sprecati, quelli spesi per ogni cosa che non fosse essenziale; e poi si sa, lo zucchero filato rovina i denti, e i dentisti costano.
A ogni festa di paese, Teresa passava davanti alle bancarelle sgranando gli occhi. Non osava chiedere, soltanto opponeva una lieve resistenza alla mano di sua madre che la tirava per proseguire nello struscio per la strada principale. Provava ad attardarsi, a soffermarsi un po’ per vedere meglio, per mangiare con gli occhi.
Le bancarelle sfavillavano di dolci di mille colori, di caramelle gommose, di girandole di liquirizia. Tuttavia era il pentolone di alluminio ad attirare l’attenzione di Teresa, quel bianco abbagliante che si creava quasi dal nulla e, avvolgendosi attorno al bastoncino di legno, sembrava una nuvola che si addensava nel cielo.
Teresa guardava le nuvole, e le nuvole sembravano montagne di zucchero filato. Si chiedeva se, a sporgere un braccio da un aeroplano per toccarle, le avrebbe trovate appiccicose come i batuffoli di zucchero che non aveva mai assaggiato.
Crescendo, la bambina Teresa perse il desiderio di assaggiare le sue nuvole. Le aveva talmente desiderate da avere immaginato mille volte di averlo veramente fatto; aveva sentito tra lingua e palato il gusto e la consistenza, aveva avvertito sulle labbra e agli angoli della bocca le tracce di zucchero rimaste irrimediabilmente attaccate.
Quando, ormai cresciuta, le accadde di comprare la sua nuvola e di assaggiarla, la trovò esattamente come l’aveva sognata. Niente di nuovo, un cibo come tanti, forse anche un po’ troppo dolce, e pure fastidioso da mangiare.
L’esperienza unica, per lei, non fu la realtà arrivata troppo tardi, ma il suo sogno cullato in tempo.
Ovviamente Teresa è un personaggio; è, anzi, il personaggio che fa da filo conduttore ai racconti di “Dove mi porti?”, il libro che io ho scritto e Armando Siciliano Editore ha recentemente pubblicato. Teresa è anche una bambina che non mi vuole lasciare, periodicamente torna, fa capolino nei miei pensieri e nelle mie storie.
E adesso fa capolino anche qui.
Anna Burgio
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